A CORCIANO, IN UNA NOTTE TORRIDA DI ESTATE, AL TERMINE DI UNA SALITA, MI RITROVAI IL FRONTALE DI UNA CHIESA, ILLUMINATA AD ARTE, LE LUCI DELL’ANIMA ERANO IN TEMPORANEA SOSPENSIONE E ATTENDEVANO DI ESSERE GUIDATE DA SUGGESTIONI TEATRALI. LO SPETTACOLO MI COLPÌ, TANTA GENTE ERA VENUTA A RACCOGLIERE UN'ALTRA TRACCIA (NON NOTA) DI PIER PAOLO PASOLINI, RACCOLTA DAL NOTAIO FRANCESCO DURANTI, CONOSCIUTO A PERUGIA E STIMATO PER LA SUA PROFONDA CULTURA E PER LA SUA MERAVIGLIOSA COLLEZIONE D’ARTE. IL LIBRO DA CUI ERA TRATTO LO SPETTACOLO, SCRITTO DA DURANTI, SI INTITOLA “IL NASTRO AZZURRO”: UN CAPITOLO RACCONTA UN INUSUALE INCONTRO TRA DURANTI E PASOLINI  AD UN MATRIMONIO. NE PARLIAMO CON LEONARDO MALÀ, GIORNALISTA, AUTORE DELLO SPETTACOLO.

La tua opera teatrale parte dal personaggio Duranti, dalla sua  religiosità sincera di uomo di chiesa colto e profondo, di destra, e da un omaggio a San Francesco, ma forse, il notaio poteva essere paragonato alla famiglia di San Francesco, e noi tutti siamo la famiglia di San Francesco, lo esaltiamo, ma ognuno rimane  intento ai suoi piccoli e grandi traffici, più o meno nobili… il suo disinteresse materiale viene posto al disopra dell’umano, e noi piccoli e grandi borghesi sia di destra che di sinistra perseguiamo il possesso di ogni cosa… (sia che si tratti di  pensieri, parole e oggetti, sia che si tratti di persone).         

Questo lavoro è partito da uno stimolo che mi ha dato la  Provincia, che mi ha chiesto un lavoro sul Notaio Duranti, una figura che non conoscevo personalmente, in realtà non ho voluto neppure conoscere fino in fondo, leggendo i suoi libri, comunque ho pensato che la parte più interessante diciamo di rendere drammaturgica la sua figura, era quella di valorizzare non tanto il suo personaggio, quanto la figura del cattolico, integralista, non bigotto, non chiuso, ma molto geloso, dei principi e dei dogmi del cristianesimo anche in anni, in cui il vento tirava tutto da un’altra parte. Lo stesso approccio che ho avuto col notaio della mia “Confessione”, non per forza identificabile in Francesco Duranti. Non credo che un autore debba porsi il problema se rispettare o meno un personaggio. In lui cercavo, come in tutti i personaggi che affronto, il fuoco nascosto, le idee più forti e vere, se possibile meno convenzionali, soprattutto sincere. Cerco l’anima, o l’animo, se si preferisce. Comunicare riflessioni e tormenti inediti è un presupposto essenziale per coinvolgere l’uditorio, per stimolare gli interpreti e lo stesso regista. Allora era difficile controbattere un vento devastante, i 68 di una volta, che rampognano i ragazzi del G8 erano molto più violenti dei militanti di oggi, per cui, il 68 era un movimento manesco e fazioso. Sortiva da presupposti inevitabili, l’Italia aveva maturato, anche attraverso il benessere economico, delle istanze che non potevano essere più represse, un diverso rapporto con i genitori, con l’insegnamento, nei confronti dei dogmi religiosi, dei valori della patria e soprattutto della sessualità, trovarono uno sfogo anche un po’ violento. Mi aveva intrigato la figura del Cattolico Integralista, era in fondo abbastanza aperta, anche se rimaneva di destra, egli dice “io sono alla destra”, colui che sa, colui che soffre” alla destra della croce, la consapevolezza, una persona che sceglie a suo modo di schierarsi con coerenza. Ho scritto monologhi di personaggi che non trovano alcuna risposta, e forse non ancora così stringenti, dove l’ateismo è trionfante. La cosa che mi interessa molto è riuscire ad avere quella motivazione profonda che ti porta  ad avere nella testa di un personaggio, che poi non esiste, è un tuo personaggio, ma è un personaggio credibile, incarnarlo e di procreare pensieri conformi ai pensieri di questa persona, che è fittizia ma anche verosimile, questa è l’operazione che ho cercato di fare con Duranti, è l’operazione che ho fatto con un altro lavoro, che si chiama la Macchia, la storia di una donna che ha perso un figlio in un incidente, stradale, questo incidente ha lasciato una macchia sul muro e quindi ella dialoga con questa macchia, sono tutte situazioni  meccanismi ai limiti della praticabilità, oppure dove un pedofilo finisce per dare della puttana a una bambina di 6 anni, sono tutte, non dico provocazioni, non mi piace, però percorsi logici che sfiorano l’inverosimile, che però la nostra mente, riesce a digerire elaborare a rendere verosimili, questi concetti così forti, così estremi.

 

A questi personaggi, quale taglio dai una chiave morale o solo analitica?

      Non saprei rispondere, a questa domanda, cerco di entrare nella loro carne e nella loro testa, cerco di farli reagire, reazioni a luoghi comuni, ho cercato di non fermarmi al luogo comune, anche se i detti popolari sono delle verità scientifiche non provate, cercare di fare un operazione che nel giornalismo è preziosissima, secondo me è preziosa in tante altre discipline, avendo molti retaggi del giornalismo che cerco di tenermi care, per mantenere la chiarezza, che il teatro spesso perde. Sul giudizio morale, ripeto, non entrerei, specie in questa circostanza dove si parla di fede, dunque di amore. Questo non significa che non mi piaccia il teatro di denuncia: anzi, da ex giornalista ne sento la mancanza. Oggi il giornalismo di denuncia andrebbe rivisitato: nel senso che dovrebbero denunciare i troppi giornalisti che sanno e tacciono. Quelli che 365 giorni l’anno la pensano come il proprio editore. E pure i “terzisti”, quelli compiaciuti della loro condizione superpartes, che davanti ai ladri che svaligiano e devastano casa chiosano sulle colpe della polizia e della società. In tempi come questi l’ignavia è un peccato dantesco, da inferno, oggi a teatro si rinuncia a priori a raccontare delle storie nuove, perché si ha vergogna si ha timore che le proprie storie non siano così interessanti, è una continua rilettura, l’esercizio scenico, a mio avviso, rinunciare al nuovo è un grande limite perché si perde la fascinazione del racconto, che non deve essere scontata, è necessario che il lettore o spettatore, non sappia fin dall’inizio dove andrà a finire. Con le letture continue dei classici perdiamo questo piacere. Io ti racconto una storia nuova, e tu mi ascolti, se ti racconto una storia che già conosci si perde gran parte del piacere.

 

A cosa attribuisci questo bisogno del teatro  di tornare sui classici?

Credo che dipenda dalla scarsa della considerazione che oggi si ha del pensiero corrente, oggi non è vero che siamo senza valori, siamo intrisi dai valori, poco espressivi oppure troppo cerebrali,  come la psicanalisi, oggi anche la gente più semplice, ci sono concetti che ormai fanno parte del pensiero comune, come nozioni di psicanalisi, il valore del denaro, che poi alla fine dello spettacolo abbiamo tagliato e me ne dispaccio, concetto pasoliniano, se davvero si dovesse pagare per rimettere i propri peccati oggi peccheremmo molto di meno, perché la divinità del denaro è talmente elevata che supera il Dio stesso. Questi sono valori diversi, poco fecondi, si ha paura di credere in qualcuno, si rimane soffocati dalla mole delle figure e dei personaggi  espresse in un secolo.

 

Si dice che l’assoluzione è il grande male della cultura cristiana, che spinge il cristiano a peccare e a poter espiare con il pentimento, con la confessione, per poi ricominciare il giorno dopo.

Duranti risponderebbe che la soluzione non è il passaggio automatico che segue il peccato, c’è il peccato e il pentimento, c’è il perdono e l’assoluzione,  sono due passaggi fondamentali che il cattolico dovrebbe rispettare. E’ una considerazione di chi guarda dal di fuori. Va fatta una distinzione tra il cattolico effettivo, la figura del cattolico che va in chiesa la domenica è un fenomeno in discesa.

Non credi che siamo di fronte ad un culto del rito o al rito del culto?

Il culto del rito mi sembra un concetto molto semplice, lo vedo più che nella funzione religiosa, che abbia subito una scrematura, ripeto il cattolico della domenica è un po’ scomparso dalla chiesa, io sono cattolico ma non vado in chiesa, mentre si sono rafforzate delle componenti militanti, a volte fondamentaliste, a volte atletiche della chiesa, altre volte più entusiaste, dall’altro c’è stata una crescita un ispessimento della popolazione cattolica praticante. Il culto del rito lo vedo in tantissime manifestazioni pagane, questa sindrome dell’Inno d’Italia, che il nostro Presidente Ciampi ha tirato fuori in maniera infatua, ha stomacato, viene triturata, oggi anche i buoni principi, inseriti in un meccanismo fagocitante della comunicazione, anche i buoni valori sereni, vengono triturati, l’inno che il presidente Ciampi ha voluto tirare fuori è diventato un tormentone, in questi anni non se ne può più, in queste circostanze si vede la ricerca dell’enfasi, la ricerca di qualcosa che commuova per qualcosa, visto che non sono capaci di commuoversi. Si aggrappano a questi culti del rito, a questi riti del culto, a queste cerimonie cercando di provare qualcosa che non riescono più a provare, forse quella pulizia quella ingenuità, che non hanno più dentro.

Nella tua opera teatrale, e nel libro di Duranti, si incontrarono sul terreno della messa in Latino, probabilmente Duranti, non poteva comprendere cosa rappresentasse la tradizione per Pier Paolo, il ritorno alle origini più pure del cattolicesimo, quelle dell’uguaglianza, della militanza, della povertà, dell’ecologia, che Cristo e poi San Francesco hanno perfettamente incarnato.

Il cattolico che ho cercato di riprodurre non è un cattolico che non si pone domande, quindi non lo considererei così ottuso a certe istanze, è un lavoro diverso che egli fa, nel monologo viene espresso, cosa dice quest’uomo: se la prende con i giovani, perché rinunciando al latino rinunciano all’eternità, scegliendo le chitarre, scelgono la contemporaneità, ma la contemporaneità già ce l’ avete, quello che vi manca è l’eternità. E’ una persona che ragiona su altri binari. In realtà Duranti e Pasolini fanno questo pranzo di nozze insieme, è dopo un periodo di chiacchiere in cui Pasolini fondamentalmente ascoltava, alla fine esce, anche per una disponibilità a non essere così scostante, Pasolini sapeva anche quando graffiare, l’affetto e la stima che lo circondava, testimoniassero la sua assenza di quei fenomeni uterini che spesso sono attribuiti  all’artista, per giunta omosessuale o pederasta come Pasolini , e soprattutto graffiava a fondo se stesso, la grande fascinazione che oggi produce Pasolini in chi affronta i suoi scritti, c’èra il suo profondo scarnificarsi prima di poter esprimere un giudizio su se e sugli altri. Era uno che si metteva dentro il calderone del giudizio, oggi sarebbe un animale sconosciuto, penso solamente ai polemisti di oggi, che sono veramente sterco, non c’è altra pietra di paragone, raramente si riesce a trovare un atteggiamento dignitoso, è u n tempo di spudoratezza sconfinata,  questo voler apparire al di sopra delle parti, distaccarsi; diceva Pasolini, anche io faccio la vita dell’intellettuale, poi la sera, a me queste differenze del proletariato che sta cambiando, mi entrano nella carne, questa è una persona che ha il coraggio di affrontare il problema e non lo nasconde a nessuno, soprattutto a se stesso. Oggi questo intellettualismo da quiz televisivo, personaggi che hanno reso legittimo ciò che non lo è, noi oggi viviamo una situazione di totale illegittimità politica, il terzismo dei nostri commentatori, dei Vespa ecc. è quello che legittima ciò che non è legittimo. Quello che porterà un grave danno a questo paese,  farà portare le cicatrici di questa  corruzione per anni e anni. Pasolini parte da una frase, per trovare un punto di contatto con Duranti, lui si meraviglia dalla musicalità di questa frase, di fatto Pasolini aveva una fascinazione estetica della funzione religiosa, per lui l’estetica aveva un valore talmente alto, l’estetica si può fondare con la morale, con la commozione. Pasolini critica la chiesa come un innamorato tradito, sicuramente sarebbe stato un seguace di Cristo in un epoca di verginità dottrinale. I ragionamenti che faceva riuscivano a colpire al cuore la chiesa e le persone più illuminate. Non importa se lo capisse o meno. Forse neanche Pasolini percepiva in pieno la sofferenza di un cattolico che remava controcorrente. O forse riconosceva a pochissimi la sincerità di una battaglia che in larga parte era di pura retroguardia. La cosa stimolante sta nell’incontro di due anime che provengono da punti lontanissimi e che, malgrado tutto, si riconoscono e si salutano, per poi proseguire ciascuno la propria strada. Siamo in Umbria, la terra di San Francesco e Aldo Capitini: la sua marcia è una sorta di delta nel quale confluiscono le anime più aperte della sinistra e dei movimenti cattolici.

 

Pasolini criticò la chiesa in forma violenta con la poesia sul Papa e sui numerosi articoli, primo tra tutti “Festività e Consumismo” dove la religione associata al potere, vedeva ancora nella civiltà contadina un suo ruolo, mentre con l’avvento dell’omologazione industriale era destinata a un’agonia e una morte certa, oggi  la caduta del Comunismo reale e con le abilissime manovre politiche storicizzate e secolarizzate del Pontefice Polacco, sembra aver dato un nuovo impulso, al futuro della chiesa, dalla tua opera trapela una nostalgia di qualcosa che si è perduto…

 

La  nostalgia, se c’è, è del notaio. In lui vedo soprattutto una malcelata rabbia nei confronti di una gioventù, quella sessantottina, che procedeva in maniera rozza e senza una preventiva autoscarnificazione, al contrario di Pasolini che in quanto a sincerità intellettuale ebbe pochi rivali. La sue parole sono ancora estremamente vere proprio perché sincere e sofferte. Riguardo l’astuzia del pontefice non ne vedo tanta. Non è più lui a gestire la comunicazione, anzi, è diventato merce da telegiornale. Il sistema mediatico enfatizza i viaggi, le adunate, la malattia, ma una volta spento il televisore la Chiesa ha un peso irrilevante nella nostra società, nel nostro modo di vivere, perfino nelle istituzioni. Basta vedere com’è finita la richiesta di indulto nella storica visita del Papa a Montecitorio. Ne hanno parlato come un evento epocale ma il risultato di fatto non c’è stato, ed era una richiesta da poco. Il Papa è trattato come il calcio, onnipresente nei palinsesti tv, con la stomachevole sfilata di intellettuali che fanno a gara per ostentare la propria fede sportiva (Pasolini, che pure amava il calcio, li massacrerebbe). Eppure gli stadi sono vuoti e così le chiese. Il drammatico scollamento tra realtà mediatica e realtà “vera” è uno dei fenomeni più allarmanti dei giorni nostri e a pagarne le spese sono soprattutto i giovani.

 

Credo che  la chiesa si proponga come alternativa al Comunismo e come unica forma di critica ad esso, dichiarandolo  il caro estinto fattosi carne e carneficina,  dopo averlo seppellito come un suicida.

Quindi credi che in Umbria le anime si possono incontrare, anche se appartengono a mondi lontanissimi  a condizione che siano in buona fede e che ancora abbiano la percezione e l’orgoglio (la volontà di lottare) di conservare l’anima?