IL CANCELLO BIANCO

Ricordi di Argentina Tini dal 1928 al 1996

A cura di Anna Imelde Galletti e Carla Migliorati

Associazione Culturale Terravecchia Terranuova

L’OFFICINA DEI QUARTIERI

Memorie per la città,1- 2002;Centro Stampa della Provincia di Perugia

SCHEDA sulla ASSOCIAZIONE CULTURALE TERRAVECCHIA TERRANUOVA

Esiste ancora la città come luogo della convivenza umana,luogo di riconoscimento e di appartenenza? quel sistema di relazioni che permette agli abitanti di sentirsi cittadini e farsi collettività? Nel quartiere di Madonna Alta a Perugia è nata un’associazione,”Terravecchia Terranuova”, che sulla questione si propone “l’esercizio di una nuova pedagogia dell’urbanità”: un progetto concreto, in questi tempi di dispersione spaziale e sociale, dell’idea e della pratica di cittadinanza. L’Associazione offre  una possibilità di parola e di dibattito sulla definizione di città, sulle sue funzioni ,sul suo  sviluppo,attraverso il procedimento del racconto,delle testimonianze dirette ,delle fonti storiche( con la storia dei luoghi) ,che potrebbe servire se non proprio da correttivo per tante iniziative di palazzo ,almeno come punto di vista,e riflessione .Ha valore anche come apprendimento critico e consapevole dell’uso del territorio ,un tentativo di riappropriazione, in questa valanga di urbanizzazione diffusa per sovrapposizioni e stravolgimenti, non solo di strade e sensi di traffico,ma soprattutto di modi di vita .Il territorio si amplia  e si moltiplica,e la città , mentre cresce quantitativamente , si disperde come convivenza umana e aggregazione,inventando i diabolici finti non- luoghi mercantili al posto dell’incontro casuale, spontaneo, ed anche di uso e di servizio, che fa società civile.

L’Associazione “Terravecchia Terranuova”ripensa la città come equilibrio,in divenire, fra bisogni  , progetti  e desideri, recupero storico e  investimento futuro,anche associata ad una nostalgia per qualcosa che non c’è più, costruttiva al tempo stesso, perché ragionata ed articolata intorno ad un’idea precisa di relazione tra gli abitanti. E siccome non si ha identità senza storia, apre al suo interno” L’Officina dei quartieri”, definita “un laboratorio ideale per la nuova città”, nell’ambito della III Circoscrizione del Comune di Perugia, con una ricerca di memorie orali e scritte “che consenta di ricostruire… le esperienze sociali e storiche che hanno accompagnato la nascita dei quartieri …”,di cui il libro IL CANCELLO BIANCO è una prima produzione. 

L’origine della denominazione dell’Associazione nasce da un episodio della storia di Perugia :“Nel 1276 gli abitanti dei borghi della città di Perugia chiesero al governo comunale che non si chiudessero più al calar della notte le porte della “terra vecchia”,l’insediamento antichissimo arroccato sui colli e circondato dalle mura etrusco – romane”.Intendendo con ciò l’esistenza e la denominazione di una  “terra nuova” in espansione e la volontà politica di costituirsi ,insieme,nella struttura più ampia di città unica.Si dice ,nella Associazione, che anche oggi c’è una città nuova  da vivere ed osservare, allargata e diversa,fatta di movimenti migratori interni ed esterni,includendo anche chi si è inurbato senza muoversi dalla propria casa. A partire dal quartiere di Madonna Alta,può cominciare un interessante itinerario per le nostre strade ,vecchie, nuove, rinnovate, con il gusto di incontrare  e ascoltare persone , vedere  o rivedere  luoghi,ed anche  trovare un qualche senso in più al semplice abitare.  

UN LUOGO UNA VITA UN LIBRO

“Il cancello bianco” è quello del palazzo dei padroni per i quali lavoravano Argentina e la sua famiglia,in casa e nei campi.Il libro è una storia di vita,la storia di Argentina Tini ,ripensata e scritta da lei :“ Questo diario è semplice ma vero,così l’ho scritto…

            Con tanta nostalgia ….

            Così è stata la nostra storia

            Per chi ne vuol fare buona memoria”

E’ un documento personale apparentemente semplice,perché nel recupero della memoria privata emergono dati utili ed interessanti a descrivere  e rappresentare una società ,una cultura,un periodo storico ,che l’ autrice indica dal 1928(data di nascita di Argentina) al 1996.Insieme, permette una rivisitazione dei luoghi del territorio perugino come un itinerario di città sconosciuta , una città della memoria nascosta, quasi immaginata,come a voler fornire una radice a chi non ce l’ha, a chi abita in case e strade senza mappe di vita vissuta  né storia degli spazi.“La mia è una storia come tante altre,molte certamente saranno più brutte o più belle ,ma se nessuno ,o pochi scrivono,i nostri discendenti non sapranno mai il nostro passato”.

Il luogo  della storia raccontata corrisponde al quartiere di Madonna Alta,zona che ha visto in modo massiccio e intensivo la trasformazione urbanistica attraverso insediamenti numerosi di cui qualche albero( i pini del vialetto,il campo di ulivi) qua e là fa ricordare l’origine campestre…”Ora tutto è cambiato,da circa gli anni  50 in poi hanno venduto a pezzo a pezzo,dove un po’ alla volta ci si è costruito la propria casa,ci sono circa 90 case”.

I luoghi  citati hanno senso,vitalità e corposità, producono continui richiami  e storie allargate: prendono il nome di chi ci viveva, lavorava,o dalle coltivazioni che vi si facevano o dalla  sola percezione fisica:il campo degli Alberetti (dove ora comincia il tunnel del la Madonna Alta),il Toppone,il campo del Fontino,il campo delle Mele,i Renicci ,Centova “ dove c’era uno spaccio di alimentari e tabacchi ,a me mandavano a prendere qualche etto di formaggio,il sale col fazzoletto da spesa blu e bianco”. Ma, al tempo dei nonni ,Centova era anche chiamato il vecchio Angelo Lucacci “ aveva i baffi rigirati all’insù e due occhi spiritati,faceva il carrettiere, aveva un mulo, trasportava ogni sorta di roba ,si diceva che aveva il libro del comando ….veniva a mietere dai nonni,dicevano che con una pagliuzza arrotava la falce e portava avanti tre praci di grano”.Ancora: “Al n.814  di S.Faustino”, dove la famiglia Tini abitò e coltivò le terre  per venti anni,era il vocabolo Palla, “così leggevamo sull’indirizzo ,quando ci scrivevano”.Colpisce  nel racconto la descrizione delle famiglie per vicinanza ,quasi a costituire una specie di condominio : “Vicino a Marchetti ,dove ora c’è il Sodalizio S.Martino , ci abitò la grossa famiglia Pottini ,vicino la scuola di Pian della Genna c’era Calzoni,Mommi,Cupertori,Toccaceli tutti mezzadri di questo o quel proprietario. E vicino al Bell’occhio ci abitava Biscarini lì vicino un grande casolare dove ci macinavamo le olive  e alle volte c’erano le feste da ballo.Poi più vicino alla chiesa di S.Faustino c’erano i campanari che facevano i coloni di Guerrizzi il Colonnello,più a sud altri abitavano” fin vicino al cimitero di Ponte della Pietra perché la parrocchia (unità di riferimento  delle diverse  zone ,altro esempio la parrocchia di S.Susanna che dalla Piaggia Colombata si estendeva fino ai Tabacchi e Case Bruciate)   era grande,comprendeva fino metà della Costa di Prepo,e pure la vecchia Perugina”.E come in una fantasia di paese,c’era anche il fiume, la Genna,che aveva tanta acqua da far girare le  macine del mulino e da annaffiare i campi e”un inverno piuttosto piovoso era tutto un lago” E”Le Fonti di Vegge ancora sono lì,sgorga l’acqua come allora ,quando ci andavamo a prenderla nelle damigiane ,con le vacche e il carro prima che facessero la conduttura di S.Sabina”.Ancora a rintracciare vecchie tracce:”Dove c’è l’Inps c’era la fabbrica delle ginestre,.. ci facevano i fogli di carta gialla.Poi sotto la vecchia Perugina c’era un fruttivendolo,Bariletti con le stoffe,la Rosina la giornalaia …”Questi ed altri sono i luoghi disegnati da Argentina su una mappa , acclusa al libro, che è una vera e propria rappresentazione scenica,dinamica e puntuale , (da osservare  con ammirazione la varietà di case alberi strade coltivazioni ) della vita e le opere delle persone che hanno abitato quei posti(cartografia prescientifica la definisce la nota introduttiva).

C’è anche una Perugia Terravecchia da raggiungere a piedi ,su per la Piaggia Colombata,per andare a vendere la frutta ,la verdura e le uova al mercato coperto,o quella dei racconti di nonno Cintio:”Per fare  palazzo Cesaroni ai primi del 1900 portarono i marmi dalla stazione con i buoi ,per via 20 settembre e sapete perché vicino alle finestre, ci sono sculture, teste di animali o di persone ,alcune con la lingua di fuori ?perché Cesaroni lo volle fare più bello e così canzonava quel palazzo Calderini ,lì a fianco” 

Il libro ha una sua divisione in capitoli per argomenti ,fasi di vita e periodi storici :l’infanzia ,le feste, le usanze, i nonni ,le famiglie, le nozze ,la guerra.La storia ufficiale talvolta fa da sfondo alle storie personali,il nonno Cintio per esempio “era del 1869 ,della classe del re VittorioEmanuele III,e ci teneva a dirlo,il mio papà Luigi del 1904 ,aveva l’età del figlio del re ,Umberto II che fu re per pochi giorni”.Argentina e la sua famiglia furono fortemente coinvolti nei fatti perugini della II guerra mondiale :i Tedeschi in ritirata che sfasciavano la Perugina, i Tabacchi, il Consorzio , il soldato Santino di Napoli, che bloccato dal fronte,si fermò a Perugia per un anno “a lui la guerra faceva molta paura, aveva fatto sette anni in Africa ,aveva visto tanti orrori“, i tanti morti tra la stazione e il Bell’occhio, gli alleati che venivano da Pian della Genna e via Pievaiola” erano in tanti con le gip e ci lasciarono un cagnolino bianco e nero, lo chiamammo Gippino e fu un ricordo del tempo passato… si sentivano dire tante cose brutte e ancora oggi mi pare di sentire quelle grida delle 8 persone che furono fucilate vicino al cimitero di Ponte della Pietra ,quante mamme piansero quante famiglie devastate, che orrori forze son tanti a non sapere e a non riflettere….” Sulla guerra, nel libro,sono riportati  i racconti di Secondo, il marito di Argentina, partito soldato il 15 gennaio del 1943  “Io,’l militare ‘m me rappresentava niente ,perché io ‘nn ero volontario,io me ‘nteressava la famija,’l lavoro,’l podere”.Da qui è nata l’idea di un approfondimento in collaborazione con la scuola ITAS “G.Bruno” e la seconda pubblicazione della Associazione ,“L’involontaria guerra dell’artigliere Secondo”.

“50 primavere le abbiamo passate insieme,

50 estati arroventate al solleone,

i nostri 20 anni più belli della vita

li abbiamo passati nei campi con gran fatica.”

Scrive Argentina in versi ,in occasione dei 50 anni di matrimonio con il marito Secondo,ma lo ripete spesso questo rovello del lavoro dei campi,soprattutto sotto padrone .Si apre così un’altra rappresentazione ricca di informazioni sulla condizione da contadino e sui rapporti di lavoro dei mezzadri “Non ho disprezzato coloro che erano ricchi,ma però non tanto lodati” 

Leggiamo,da una parte,l’orgoglio del contadino nonno Cintio “Vedete quelle olive sotto il cimitero di Fontana,l’ho piantate tutte io”, ma  anche “Sapeva di certi padroni,senza cuore,che quando il contadino raccoglieva il granoturco,il padrone se lo prendeva tutto lui,glielo ridava un po’ alla volta,molto spesso ammuffito.”… ”Il padrone senza raccolto mangiava uguale ma il contadino alle volte aspettava quello per mangiare o se era più che sufficiente si vendeva per comperare quel che ciò che occorreva,vestiti scarpe o medicine, chi rischiava era sempre il più povero.”

Documenti di storia contadina sono le notizie sulla trasformazione  e fine della mezzadria, dagli obblighi di contratto con il padrone in oggetti , prodotti , prestazioni,al tempo in cui “ la gente andò di più a scuola e per i proprietari diventò più difficile,poi arrivarono i sindacati,i conti li controllavano  a loro…Noi lasciammo la terra nel 1962…ci pensarono i sindacati ad aiutare i lavoratori,e in tanti ce ne andammo magari a fare il muratore,la golf,in parecchi chi ebbe più fortuna nelle fabbriche.”

I personaggi di questa commedia umana sono tanti quanto è grande la famiglia,ampie le amicizie e le conoscenze di una vita,ma la guida ,che rende unitaria la storia,è sempre lei,Argentina “Chi sa perché mi misero nome Argentina?Erano gli anni dell’emigrazione…chi sa quante volte mi son sentita dire ,del tango sei regina ”  Lo sguardo e le parole sono di Argentina che con grande capacità evocativa non solo racconta fatti ma manifesta,con consapevolezza,nostalgia e un po’di ironia, l’eco emozionale della sua vita di bambina e di donna: “…Ricordo i giochi con i figli dei proprietari,la merenda che non mi dettero mai:…La bellezza del golfino rosso papavero fatto con la lana dei conigli d’angora….  e la vergogna delle scarpe da donna con i tacchi tagliati…. non ricordo né un bacio né una carezza né dal papà né dalla mamma ….Io ero esile e magra,i miei genitori non pensarono di mandarmi in fabbrica a imparare un mestiere,però nei campi,dalla mattina alla sera,avevo solo 14 anni,non mi piaceva,ma quella era la vita che si doveva fare,non c’era scampo…Avevo conosciuto un bel giovane con gli occhi celesti,i capelli neri ondulati,suonava il clarino..ci fidanzammo ancora giovani…

Entrammo in chiesa di S.Faustino con il dolce suono del violino

Con i taxi volemmo andare per non far tutti camminare,

ventimila lire dovemmo pagare….

Finita la festa con emozione…

Partimmo con due valige per la stazione…

Cosa successe quella notte non lo ricordo

Son passati 50 anni è normale che lo scordo!

A Napoli andammo,oh! Che bello il mare…

La città una meraviglia…..”

Fino ad oggi :

“Siamo rimasti solo in due,a che fare?

Ad aspettare le quattro stagioni che corron veloci

E con tanta nostalgia a ricordare.

Nei mestieri della donna lo stretto necessario,

Vado molto a camminare,parlo molto

E ho un gran da fare nello scrivere e nel pensare,

nel mio cuore son contenta e mi tengo la mente sveglia..”

Una gran parte del gusto di leggere viene dal linguaggio usato, anch’esso con valore di documento e di memoria,le belle sonore parole da conservare in un vocabolario a parte  e l’andatura del discorso e la tecnica  del parlare per versi: i bigonci dell’uva,le praci  e il barcone di grano,la buccia di Natale,il Tomassone  migno toccio ,la  simpatica nonna Letizia era una sbrinca e faceva le sbrolle con le foglie dell’ulivo, c’erano le pignatte e gli ziri e le vacche  andavano alla strappa  .Citiamo,a tale proposito, le curatrici: “ Dei testi manoscritti abbiamo rispettato le forme grafiche e linguistiche ,più vicine nei fogli sparsi,per fonetica e sintassi,alla messa per iscritto di una lingua orale .Alcune parti della narrazione sono replicate nella forma della prosa ritmica o del verso ,secondo la consuetudine contadina del racconto per memoria e della celebrazione d’occasione.”

Conclude Argentina “A testimoniar di quella vecchia data

C’è ancor qualche cipresso alto,dov’era la mia casa.

E del vocabolo Palla,d’allor non se ne parlò più

Ma c’è ancor la Madonnina che fa la guardia da laggiù”

Che è come un invito ad andare a vedere e rintracciare quel che resta della memoria.

 

Il libro  IL CANCELLO BIANCO, Ricordi di Argentina Tini, si può richiedere alla Prof.ssa Anna Imelde Galletti , indirizzo di posta elettronica: annaigal@libero.it