L’opera teatrale scritta da Leonardo Malà  parte dal presupposto (incontestabile)  della rispettabilità del personaggio Duranti, della sua  religiosità sincera non artefatta di uomo di chiesa colto e profondo, e da un omaggio a San Francesco, ma forse il notaio poteva essere paragonato alla famiglia di San Francesco, e noi tutti siamo la famiglia di San Francesco, lo esaltiamo, ma ognuno rimane intento ai suoi piccoli e grandi traffici, più o meno nobili… il suo disinteresse materiale viene posto al disopra dell’umano, e noi piccoli e grandi borghesi sia di destra che di sinistra perseguiamo il possesso di ogni cosa…(sia che si tratti di  pensieri, parole e oggetti, sia che si tratti di persone…), il possesso come conferma del nostro essere  ancorati al mondo, il possesso come conferma della nostra esistenza, del nostro essere reali. Credo che oggi l’unica percezione dell’esistenza, dopo il possesso, per essere accreditata deve essere mediatica,  poiché, forse, l’unica cosa ad esistere veramente è ciò che non è ufficiale e se ne frega di esserlo, ciò che soffre dell’ombra (un po’ come tutti)  non esiste proprio come ciò che vive sotto i riflettori,  riuscire a vivere qualcosa senza che esista per gli altri è forse l’unica forma di autenticità esistenziale, “è proprio quello che dice Battiato “quando dice segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire”

      Duranti Pasolini, Penna e Capitini dicono, Malà conferma, che in Umbria le anime si possono ancora  incontrare, anche se appartengono a mondi lontanissimi, verissimo dico io, a  condizione che siano in buona fede e che ancora abbiano la percezione e l’orgoglio di conservare l’anima!  Questa società non aiuta certo a conservare l’anima o a svilupparla; si sia benestanti  ricchi opulenti o si lotti per arrivare alla fine del mese, la materialità ci annulla,  tale esercizio sembra superfluo o appare impossibile da praticare, i tempi, le scorrerie, i ritmi, uccidono l’anima, anche se apparentemente la bellezza ancora riempie gli occhi del cittadino o contadino  o paesano  che si  voglia. Ma poi: i fiumi sono inquinatissimi, il lago moribondo, la conca ternana una valle dei sepolcri carica di diossina, i pesticidi delle coltivazioni convenzionali, uccidono le nostre falde acquifere,  i sistemi non biologici con la loro violenza  sconvolgono la terra, e la rendono sterile,  le discariche, gli OGM,  la minaccia degli inceneritori   rischiano di compromettere ciò che resta,  e la raccolta differenziata langue, i gas delle macchine e tutto il resto noto e arci-noto, si mangia robaccia anche se siamo la patria delle produzioni dop e doc. le politiche potrebbero fare di più per l’ agricoltura biologica.    Eppure l’Umbria è bellissima, nella sua carica paesaggistica di arte e di natura ed è anche ricca di iniziative che fanno emergere le sue tradizioni e le sua cultura. L’anima si  evolve  vivendo in qualità dell’esistenza, oppure si perde rincorrendo le sue apparenze.  Sono entrata in un botteghino di Eurocioccolat, stile Paese dei Balocchi , (casa della paura al lunapark)  dove il visitatore vedeva ingrandita una fibra di tessuto,  e alla fine del percorso si vedeva la soluzione, si potevano vedere ed annusare, i detersivi come icone religiose, lavare ogni peccato delle multinazionali e del proprio consumismo,   con l’accostamento cioccolato detersivi. Se questa è cultura non ci resta che tagliarci le vene, certamente è solo commercio e in un momento in cui l’economia è rafferma, se ne può anche discutere, forse l’amministrazione deve dare respiro  a tutti i mezzi  che portano soldi in momenti di crisi come questo o forse meglio  promuovere le alternative e potenziarle.  Dare manifestazioni come UmbriaLibri e le altre tante manifestazioni culturali importanti che avvengono nella nostra regione, capisco che è difficile muoversi tra privatizzazioni e tagli di fondi dello stato, quando si è tratti in salvo dalle multinazionali le sirene del nuovo millennio.   Ai se ci fosse Pasolini, quanto dolore, proverebbe, e la triste soddisfazione di aver visto giusto, ma forse era stato quasi ottimista. Perché la gente non sa quasi niente, di ciò che mangia,  e soprattutto non lo vuole sapere, rincorre quel logo che la possa stordire e gli permetta di proiettare altrove i suoi vuoti,  nella convinzione che non si possa più fare niente, per cambiare le cose. E anche la natura la pretende perfetta, ma non si interroga su cosa debba fare, e si accontenta anche dei surrogati.   I mezzi di partecipazione democratica mostrano la corda, sono obsoleti, certamente, proprio perché il  sistema fa di tutto per convincerci a svuotarli di efficacia e di cogenza, ed è proprio così, e ci impedisce di formularne di nuovi, meglio partecipare ad un evento  consumistico di massa, è così che si desidera deviare quel bisogno profondo che l’uomo ha di partecipare,   così  si accorre alla  celebrazione del presente, ci si sottomette ad esso, pervasi da una becera rassegnazione. Accanto a tutto ciò ci sono persone che si impegnano, per la conservazione del bene più prezioso il cervello e lo fanno aiutando gli altri, o proponendo modelli nuovi di economia, di partecipazione, di solidarietà, di com’unitarietà di ecologia, lo faranno in modo imperfetto ma in buona fede.    L’omologazione culturale, è oggi compiuta, ed è un fenomeno globale, e la chiesa secolarizzata, dopo aver dato l’ultima spallata al Comunismo reale, sembra essere l’unica voce in grado di contestare il capitalismo, ma rivolgendo lo sguardo alla prospettiva di un altro mondo possibile nell’aldilà, combatte il dolore, la sofferenza, la povertà con forza e caparbietà (recuperando alla vita milioni di esseri umani) ma nella certezza che nel mondo ci sarà sempre fatto di vinti e vincitori, sopraffatti e sopraffattori nella rassegnazione verso l’umano, che non si può cambiare, io dico che non possiamo rassegnarci, e dobbiamo continuare a lottare, per salvare la nostra anima, in questo mondo di degrado culturale, noi possiamo fare ancora qualcosa, non contestare, ma proporre qualcosa di diverso, per proporre qualcosa di diverso dobbiamo  soffrire nell’ offrire, e non isolarci, sostituirci nell’offerta,  senza ghettizzarsi, far assaggiare un mondo diverso, magari  andando a correggere  quel folclorismo da nostalgici che ci allontana dalla gente.    

 

                                                                                                                            Marta Ponti