PAESE
MIO… Maria Grazia Lombardi Lo stato d’animo di uno studente fuori sede al momento della partenza dal proprio paese d’origine non è di rimorso né di tristezza. Lo studente che decide di partire accoglie questo cambiamento nella sua vita con uno slancio di entusiasmo che rasenta l’incoscienza, si lascia alle spalle un’irrisoria esperienza di vita fin lì accumulata per aprirsi a quell’“altrove” pieno di aspettative e di felicità. Approccio diverso rispetto a quello di suo padre che, trent’anni prima, aveva dovuto lasciare gli stessi luoghi forzato dalla necessità di cercare un’occupazione che la sua terra non gli offriva, consapevole di dover condurre una vita sacrificata per poter, eventualmente, inviare soldi alla famiglia rimasta a casa e, per giunta, senza un’aspettativa reale di ritorno. Per noi non è così. Quello stesso padre, emigrato negli anni settanta e poi fortunatamente ritornato a casa, oggi si preoccupa di garantire a sua figlia un tenore di vita dignitoso per permetterle di studiare, formarsi, crescere e godersi la sua gioventù in una città lontana. Quando sono arrivata a Perugia, quattro anni fa, egoisticamente non pensavo alle difficoltà di pagare per la prima volta un affitto ma volevo soltanto appagare la mia curiosità, scoprire questi nuovi luoghi e le abitudini della gente, ero attratta dal suono del dialetto locale che allora trovavo stranissimo. Ricordo lo stupore nel vedere tanti stranieri delle nazionalità più diverse vivere e studiare come me (fino ad allora il prototipo dello straniero nella mia mente era quello stanco e sporco che approdava ogni giorno al porto di Bari). In una prima fase ho rimosso il pensiero delle mie origini per concentrarmi sulla nuova realtà. Soltanto più in là negli anni e molto gradualmente mi è ritornato il pensiero di quel paese che ho lasciato. È ritornato sottoforma di comparazione continua tra ciò che vedo a Perugia e ciò che non c’è a Sannicandro di Bari ma che si potrebbe realizzare con successo anche lì. Osservo spesso i bei palazzi di Corso Vannucci e ammiro l’impeccabile cura che gli viene riservata, apprezzo le innumerevoli iniziative che vengono organizzate utilizzando gli spazi dei monumenti meravigliosi di cui è ricca questa città e ogni volta penso al castello normanno-svevo di Sannicandro di Bari che da secoli sopporta paziente le violenze praticate dai suoi residenti: nel secondo dopoguerra il castello è stato adibito a condominio e il chiostro interno era sede del mercato del paese. A volte riesco a vedere quegli antichi sannicandresi che abbattono a colpi di piccone secoli di storia nel tentativo estremo di proteggere i propri figli dal freddo e dagli stenti. È una prima ingenua forma di speculazione edilizia giustificata non dalla brama di politicanti inetti ma semplicemente dalla miseria della gente. Negli anni 70 l’amministrazione comunale, in un eccesso di lucidità, ha vietato l’utilizzo del castello a scopo abitativo e d’allora in poi è rimasto in stato di completo abbandono. Ricordo che era il luogo di iniziazione alla vita dei bambini del paese: si oltrepassavano, di notte, le mura di cinta e si esploravano quelle stanze misteriose e piene di insidie. Confesso di non aver mai avuto il coraggio di compiere quell’impresa e di aver aspettato per anni che quel castello bistrattato e triste fosse regolarmente aperto al pubblico. Oggi è quasi integralmente ristrutturato: da una parte è stato ricostruito in base a come doveva apparire nel Medioevo, dall’altra parte sono state lasciate inalterate le modificazioni del dopoguerra a testimonianza delle diverse “stratificazioni storiche” (questo è il nome che la scienza da alla miseria) e all’interno e stata allestita la biblioteca comunale. Condivido la scelta. È parzialmente aperto al pubblico solo in occasioni particolari ma mi piace immaginare che un giorno sarà sede del più grande convegno di studi medioevali d’Europa e che ogni giorno sarà visitato da scolaresche del circondario. |