Mario Rossi da Buda

Ricordi di giovinezza

 

Egregio direttore,

 

sono una vecchia amica di Mario Rossi, e mi piacerebbe arricchire la storia del povero Mario. Io l'ho conosciuto da sempre perché i miei avi sono di Buda e la mia famiglia era conosciuta e molto amata soprattutto dalla famiglia Rossi. Io, a Buda, ci andavo in villeggiatura ed era allora che insieme a mia sorella e mia cugina lo frequentavamo, quando, cioè, dal seminario tornava al paese per le vacanze. Mario era più grande di noi di 5/6 anni, lo ricordo allora vestito da seminarista, ma quando i genitori lo costringevano a portare le pecore al pascolo, si toglieva la tonaca nera. In quella occasione si portava un libro da leggere, che noi gli prestavamo e un blocco da disegno con delle matite colorate per prendere appunti e spunti per qualche pittura. I genitori non gli davano mai soldi per comperare i colori e album da disegno, sicché noi tre glieli compravamo e di nascosto glieli portavamo a casa con la scusa di farci spiegare latino. Nella sua stanza nuda come una cella di un francescano  aveva un piccolo armadio dove nascondeva quello che noi gli portavamo e ci faceva vedere quello che stava studiando. A quei tempi, parlo degli anni cinquanta, era appassionato del Caravaggio e dei suoi colori e così studiava il modo con cui il pittore riusciva a rappresentare il "nero ". Ho ancora qualche tentativo di pittura fatta su carta con colori ad olio che col tempo si è andata rovinando, ma è ancora visibile.

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Di ricordi su Mario ne ho molti, soprattutto su quelli della giovinezza, perché discutevamo molto di pittura e della vita che allora ci sorrideva ancora a tutti.

Erano anni in cui era sconveniente che un futuro prete parlasse con delle ragazze, ma noi eravamo della famiglia Canali e questo bastava, fortunatamente, per non malignare. Io amavo disegnare e Mario mi dava dei consigli pratici ma anche filosofici, aggiungo ora nel ripensarci, perché parlando del disegno come di un linguaggio speciale, mi rendeva edotta del fatto che la riproduzione della natura non era come fare una fotografia, ma una  penetrazione dell’animo nella natura che ci parla attraverso i colori, e la forma era un mezzo di comunicazione che noi adoperavamo per capirla. Non era un pensiero facile da far capire a ragazzette di 16/17 anni. Mia cugina e mia sorella si annoiavano un po’ a parlare solo di pittura, ma a me piaceva perché era un filosofare sui principi che Mario andava a scoprendo da solo e che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

Quando, negli ultimi anni della sua vita, veniva a Roma per farsi le analisi al centro ematologico del prof. Mandelli, io lo andavo a prendere alla stazione Tiburtina per portarlo a casa mia. Mi parlava sempre della pittura, delle scoperte pittoriche che faceva ancora su determinati pittori classici, gli faceva piacere parlare con i miei figli e mio marito perché anche loro apprezzavano la pittura, anzi mio marito dipinge, ma da autodidatta senza andare a fondo nel significato di interpretazione, eppure Mario li apprezzava e gli diceva che era bravo e che con un po’ di studio avrebbe tirato fuori una sua tecnica anche se ricopiava noti pittori. A mia figlia, anche lei molto brava, aveva fatto notare come un segno di matita poteva contenere un “pensiero” a seconda se veniva calcato o dato in modo leggero. Era una festa per noi e per lui, io come cuoca sono più brava che come artista della matita, e quindi preparavo per l’occasione della sua visita dei manicaretti che lo rendevano felice. Ci siamo scritti  per un po’ di tempo e ci raccontavamo le nostre vite  come due fratelli parlano delle proprie famiglie, poi mi disse che non aveva più la forza di scrivere ed allora gli telefonavo e gli chiedevo, con molta discrezione, cosa potesse essergli utile. Ed allora, come un tempo, gli comperavo colori, che in ultimo desiderava acrilici, matite acquerellabili, matite bianche, gessetti, tele, album ecc. Capivo quanto lo rendesse felice questa attenzione per la sua passione. Ho visto la grande pittura in quel ristorante a Cascia1, mi ci portò lui a vederlo. E’ grandioso. Vidi la mostra fatta a Cascia con i dipinti fatti da lui  negli anni. Era molto bravo, quando parlava d’arte si infiammava, veramente l’arte lo consumava!

Io ho dei bozzetti fatti da lui da ragazzo con carboncino e penna su carta velina, avrà avuto sui 23 anni o poco più, non c’è data né firma, ma le posso assicurare che sono suoi, io l’ho tenuti gelosamente  custoditi: quando li feci vedere a Mario, si mise a ridere e voleva che li stracciassi, ma io non ho voluto perché nonostante siano dei bozzetti “brutti” come diceva lui, io li ritengo preziosi.

 

Anna Maria Canali

 

 

 

Caro Renzo,

le faccio sicuramente un regalo mandandole una copia di una primissima pittura di Mario fatta negli anni sessanta quando cominciava a cimentarsi con i colori ad olio. Come vedrà, è stata eseguita su carta da quaderno quadrettata e siccome l'ho tenuta per moltissimi anni piegata in due si nota una riga al centro, ma non crea disturbo.

Erano i primi colori ad olio che adoperava e che io e mia cugina gli avevamo regalato. Allora non avevamo pensato di comperargli anche una tela, ma lui non si perse d'animo, ci ringraziò e fu preso da un entusiasmo tale che cominciò a parlare velocemente di quello che voleva fare, sembrava un forsennato.

Io avevo scelto dei tubi grandi per i colori base e una decina di altri colori. Ricordo ancora la sua gioia, annusava tutti i tubetti come se fossero profumati, chiudendo gli occhi come assaporare chissà quale fragranza, poi prese un foglio di quaderno e cominciò a sporcarlo di tutti i colori che aveva, li mischiava per averne degli altri, e ogni volta che formava un colore, che sicuramente aveva nella mente,ci diceva: "guardate questo è quel verde sottobosco vicino all'ara di Toto ( suo compaesano)"; vero, verissimo, "e questo è quel rosso dei "cirecioli" dell'albero mio" ( cirecioli è una parola dialettale per dire ciliegine). Noi rimanevamo sbalordite a vedere il suo entusiasmo; poi, presi altri pennelli, scarabocchiò qualche albero e qualche gallina che si vedeva dalla sua finestra. Siccome stava tornando dalla campagna il padre, noi, avvertite dalla madre lo lasciammo imbambolato nei suoi pensieri. La mamma, tanto cara, ci disse che era l'ora della preghiera e che Mario doveva rimanere solo. Ci congedammo da Mario con un "a domani". La sorpresa fu questo quadretto che ci fece vedere il pomeriggio successivo. Ci raccontò che la notte non aveva chiuso gli occhi dalla gioia e che dalla finestra della sua camera guardava i monti, le nuvole, il colle che si intravede dalla pittura, gli alberi di mandorlo e le querce come se non le avesse mai viste. "D'ora in poi" diceva,"potrò immortalare la natura come dico io". Scherzosamente lo dichiaravamo presuntuoso, ma lui era enfatizzato e felice. Fino allora aveva disegnato soggetti religiosi, ma non gli piacevano molto e diceva che tali soggetti non erano ispirati, mentre quando ritraeva la natura, allora era in estasi.

Come osserverà predomina il verde e qualche giallo e marrone, ma non perché rappresenti il colore naturale delle cose ritratte, ma perché rappresenta la sua malinconia. Io me ne innamorai subito e lo volli per regalo e lui me lo regalò dicendomi che non era un granché, tanto più che era fatto su fogli di quaderno. Se lei osserverà bene si accorgerà che si vedono ancora i quadretti del quaderno. Io l'ho sempre tenuto fra le mie cose più care per tantissimi anni e solo recentemente l'ho incorniciato. Doveva dipingere solo quando non c'era il padre, che lo considerava uno sfaccendato, e poi aprire le finestre per mandare via l'odore della trementina prima che lui tornasse.

Sicura di averle fatto piacere, la saluto caldamente con un arrivederci a presto. Mi faccia sapere quando esce il giornale e se può me ne mandi una copia. La ringrazio fin d'ora

Anna Maria Canali

il mio indirizzo è

Via Carlo Conti Rossini,13/A

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