Facciamo delle scuole belle

Abbiamo bisogno di luoghi pubblici, luoghi predisposti ad accogliere tutti

Intervista a Diana Cesarin

 

Lei è segretaria del Mce, quindi una delle organizzatrici di questo convegno che si interroga su una questione fondamentale: la città educa? Dunque, prima di tutto, qual è il motivo che ha portato l’Mce a pensare questo appuntamento?

Nella società complessa dove tutto cambia molto velocemente, abbiamo il problema di orientare questo mutamento. Il mutamento non è di per sé positivo o negativo: il mutamento è fatto di processi assai complessi che possono prendere una strada oppure un'altra, gli esiti non sono scontati. In questo quadro, abbiamo bisogno di luoghi pubblici intesi come luoghi predisposti ad accogliere tutti, ciascuno e ciascuna, dove elaborare questa complessità, e dove dai processi quotidiani ordinari, dalla dimensione micro delle relazioni si impara a riconoscere i tanti punti di vista e a convivere con questa pluralità di punti di vista trovando nuove strade di una convivenza possibile.

E ancora, trovando i percorsi attraverso cui si possono costruire significati condivisi e trovando i sentieri attraverso i quali si costruisce un senso di appartenenza, un'appartenenza  non intesa come esser parte di una comunità di origine lasciata dalle generazioni precedenti, ma  un'idea di appartenenza intesa come far parte di, cioè che si costruisce giorno dopo giorno all'interno di un contesto pubblico dove si curano le relazioni, si fa lavoro di equipe: questo costituisce già un primo livello importante di politica territoriale, una pratica di una nuova società già in essere. La scuola da sola non ce la fa. Questa è una prospettiva che richiede che la scuola sia nel territorio nella quale è collocata come un pesce nell'acqua, che vi sia una relazione di profonda interazione... oserei dire quasi di osmosi. Il territorio nel suo complesso  deve riconoscersi come lo sfondo che costruisce il senso della scuola, non in maniera deterministica ed automatica. Anche la scuola può modificare il sistema complesso  nel e del quale fa parte. Per questo la scuola non può pensarsi da sola, la scuola è parte organica importante del territorio, della dimensione urbana, della dimensione della città. E c'è bisogno di un processo di  riconoscimento reciproco, e di una osmosi che si realizzi attraverso pratiche di vera partecipazione.

 

La città che si parla. E' possibile una comunicazione interculturale nella città e nella scuola. E se non è possibile, dove è il problema?

Questo bisogna capirlo. Per capirlo bisogna imparare l'ascolto attivo e l'osservazione partecipante nella città. Ciò significa darsi degli strumenti ed individuare dei soggetti che facciano questo lavoro, dei soggetti, dei sensori, degli strumenti e delle metodologie per capire come funziona la città. Capire quali sono i luoghi, le forme della comunicazione se ci sono. Non è una cosa che si percepisce a pelle, c'è la strumentazione e noi dobbiamo impararla. Questo può riguardare tanti soggetti diversi, è un lavoro che può essere fatto da urbanisti, da sociologi, da antropologi, ma anche dalla scuola, dentro la scuola, a cominciare dalla scuola primaria si possono attivare dei processi di ricerca attraverso i quali si costruisce prima di tutto consapevolezza della realtà dei ragazzini, di quel gruppo di ragazzini, perché le metodologie d'ascolto si dovrebbero mettere in pratica dall'asilo nido, anzi dai reparti di maternità negli ospedali. Allora il primo livello è quello dell'ascolto attivo e dell'osservazione. Non ci sono indicatori della qualità della comunicazione a priori, gli indicatori sono strumenti che si costruiscono a partire da delle visioni condivise. E' la visione ideale che ti fa costruire l'indicatore perché vai a cercare quello che ti interessa , non c’è niente di neutro. Ecco, bisogna fare questa operazione, capire cioè il valore condiviso, dirselo e costruire degli indicatori condivisi.

Secondo lei... - qui Diana mi interrompe dicendomi: "non ce la fai a darmi del tu?" Ci provo...

Seconde te, Diana, quali sono i soggetti che dovrebbero, partecipando a questo convegno, trarne beneficio e spunti?

Penso tutti quei soggetti che svolgono un ruolo all'interno della città.... dall'architetto all'urbanista, dall'amministratore locale alle imprese dei trasporti, che ragionano sulla mobilità della città. E, perché no? anche il mondo dell'impresa: la materialità della città può aiutare o inibire la comunicazione, può produrre coesioni o esclusioni. Non è un convegno solo per insegnanti, ma un convegno che cerca di declinare la responsabilità sociale in termini educativi per tutti i soggetti che fanno la città.

 

Come dovrebbero essere le scuole dove ogni mamma tutte le mattine accompagna il proprio figlio?

Dovremmo lavorare per fare sì che le scuole siano dei luoghi belli. Belli non vuol dire di lusso. Belli vuol dire bello da vedere e da vivere, vuol dire luoghi in cui le persone che li abitano possono sentire che li stanno abitando  che possono riconoscersi in quei luoghi. La dimensione del bello è importante perché se tu non vivi il luogo in cui stai come tale, perché dovresti darti da fare per preservarlo? Dovremmo trovare invece i modi di mettersi d’accordo per poter meglio  abitare e vivere quei luoghi. Voglio dire che l'idea della presenza della regola nasce come bisogno solo se quel contesto è bello, non ce la fai da solo, per questo ti metti d’accordo con gli altri per costruirlo insieme. Se facciamo questo stiamo già trasformando la città.

 

In tutto ciò, qual è il contributo del Movimento di cooperazione educativa?

Intanto il lavoro nella scuola e nei servizi educativi in rapporto con la città è il punto focale su cui si basano le nostre iniziative. Declina questa idea di cittadinanze fino ad arrivare a dire che la cittadinanza non comincia a 18 anni ma fin dalla nascita, quando entri a far parte di un conteso, hai dei diritti che devi poter esercitare. Mce declina la cittadinanza, il punto cruciale oggi è elaborare insieme l'idea di eguaglianza di diritti articolandola con il riconoscimento e la valorizzazione della diversità. Non c'è esercizio di cittadinanza senza apprendimento e non c'è apprendimento se non a partire da ciò che ognuno già sa, non c'è apprendimento se non si riconosce la diversità, i nuovi saperi che ognuno si porta dietro.

(Marzia Papagna)