Siciliani di Città della Pieve

I Fratelli Mancuso alla scoperta della vocalità

Intervista a Enzo e Lorenzo Mancuso

UMBRIALIBRI 2002: UN CONCERTO DEI FRATELLI MANCUSO È IL SEGNO DELLA NUOVA CULTURA LOCALE DELL’UMBRIA, IN CUI LA VOCE DEI DUE FRATELLI SICILIANI PORTA A RISCOPRIRE ECHI DI UNA VOCALITÀ PROFONDA, CHE DA NOI RISALE ALLE LAUDE: NON SI PUÒ NON PENSARE AL VENERDI SANTO DI GUBBIO O ALLE LAUDE MEDIEVALI. ENZO E LORENZO MANCUSO VIVONO A CITTÀ DELLA PIEVE ORMAI DA MOLTI ANNI, E DA QUI SI MUOVONO PER FARE CONCERTI IN OGNI PARTE D’ITALIA E D’EUROPA. PRIMA DI ARRIVARE QUI, HANNO CONOSCIUTA UNA VITA DI EMIGRANTI: NATI A SUTERA, PICCOLO PESE IN PROVINCIA DI CALTANISSETTA, SONO EMIGRATI A LONDRA E IN GERMANIA LAVORANDO COME OPERAI METALMECCANICI; QUI COMINCIANO A RISCOPRIRE I FRAMMENTI DEL PROPRIO PATRIMONIO VOCALE TRADIZIONALE, E SU QUESTA BASE COMPONGONO CANZONI CHE RACCONTANO LA LORO VITA DI OGGI, ANCHE IN COLLABORAZIONE CON JOAQUIN DIAZ, STUDIOSO E MUSICISTA SPAGNOLO. CIÒ CHE SENTIAMO NEL CONCERTO È DUNQUE IL RISULTATO STRAORDINARIO DI TUTTI QUESTI ELEMENTI. PER QUESTO COMINCIAMO A CHIEDERE QUAL È IL LORO RAPPORTO CON LA TRADIZIONE.

Lorenzo Mancuso: Il rapporto con la tradizione è vivo soprattutto nel tipo di vocalità, in questo tipo di timbrica vocale che dà il filo della continuità, e con cui non si può certo cantare musica leggera o jazz.

L’avete imparata da qualcuno in particolare?

No. È una vocalità diffusa come modalità in quella terra da cui veniamo, e attraverso l’ascolto rimangono impresse nella memoria queste suggestioni che poi emergono. Noi l’abbiamo ripresa; noi siamo autodidatti, non seguiamo nessun tipo di formazione accademica. Certo, il fatto di non avere preparazione teorica non impedisce di trovare momenti di incontro anche con forme di musica alta, l’importante è che si abbia una propria specificità, un proprio modo riconoscibile: questa è la base da cui si può partire per esperienze comuni con musicisti che vengono da situazioni anche lontane.

Questo tipo di musica è riconoscibile da parte della gente del vostro paese di origine?

La parte tradizionale sicuramente si; quella di nostra composizione è più legata a un pubblico scelto che ama quel genere, quel tipo di testo e di emozione.

Enzo Mancuso: L’importante è quello che tu hai sentito nel concerto, più di quello che trovi scritto sulla nostra storia, perché lo scritto non fa altro che ripetere sempre le stesse cose. Conta la vocalità, l’intensità, la poesia, la semplicità delle cose, che il nostro lavoro è sempre quello di cercare di essere più semplici, di sgrossare al massimo la canzone di cose superflue, talvolta una canzone si appesantisce mettendo un’infinità di arrangiamenti, di strumenti, e invece di farla diventare più bella, diventa più pesante; e invece così l’ascoltatore ha la possibilità di sentire come nasce una canzone quando la componiamo, ed è cantata a volte con un filo di voce per emozionare.

Voi state qui in Umbria: sentite qualcosa dell’Umbria nel lavoro che fate?

Lorenzo Mancuso: Beh, in termini musicali assolutamente no, perché il nostro mondo sonoro è molto marcato, molto diverso, quindi l’Umbria magari interviene su altri livelli: l’Umbria è una terra di grande fascino, anche spirituale; per noi la scelta dell’Umbria è stata, all’inizio, casuale, ma poi è diventata proprio la scelta di mettere radici qui. Poi la musica è un linguaggio universale, e chi è musicista, chi sente e vive la musica e per trasmettere emozioni attraverso la musica, è cittadino del mondo, anche se sembra una frase fatta: dovunque si trovano persone disposte ad emozionarsi, quella è in quel momento la nostra patria, e così dev’essere. Da giovani siamo partiti, siamo andati a Londra, poi siamo ritornati in Italia e ci siamo fermati in Umbria: doveva essere una tappa temporanea, poi invece è diventata definitiva.