Aroeira per uscire dal pianto

Una alternativa al narcotraffico per i ragazzi invisibili del Brasile

Intervento di Vilson Groh

 

Non credevo che un convegno potesse lasciarmi tanto. Ho percepito bisogni, necessità. Ho sentito emozioni forti scaturite dalle parole di persone impegnate nei più svariati progetti, tutti con un unico filo conduttore: una società migliore. Ho conosciuto esperienze, ho sentito di realtà difficili, da quella napoletana di Ugo Pugliese, al Brasile di Vilson Groh. Sono soprattutto le esperienze che hanno dato un senso a quei nomi e a quelle parole.

Il racconto di Vilson Groh, educatore in Brasile, ha davvero dato una risposta concreta alla questione intorno alla quale si è svolto l'intero convegno. Vilson è intervenuto più volte: dalla sessione planetaria intitolata  "la città visibile e invisibile: una mappa", alla tavola rotonda sulla città nella globalizzazione, al seminario su "la città che si parla. Diversità a confronto per costruire un nuovo protagonismo sociale".

Le sue parole, nonostante fossero ogni volta tradotte in italiano da un'interprete, mi hanno colpita particolarmente. Sarà stato per la sua sciolta dialettica caratteristica di in prete, sarà stato per il suo sguardo, vero e commosso, ma mi ha fatto riflettere. Mi ha fatto pensare addirittura ad un futuro lì, in quella parte del Brasile dimenticata dove persone come lui rischiano la loro vita per salvarne mille. Sono le vite di ragazzi il cui destino, se non ci fosse un'alternativa, sarebbe già segnato. Il destino è il narcotraffico, l'alternativa è Aroeira. Aroeira è un progetto volto al recupero sociale di tutti quei ragazzi  che non frequentano la scuola e che sono stati coinvolti, sin da piccoli, in situazioni che gli hanno portati ad avere problemi con la legge. In Brasile la percentuale supera il 30%.

Vilson Groh ha presentato il suo modo urbano di educazione all'interno di una città tanto difficile attraverso un video che mostrava ragazzi e ragazze alle prese con i computer, con i mattoni e il cemento, con l'ago e il filo di cotone, con i colori a tempera, con la danza e la musica rap. Era come vedere una sorta di villaggio in cui ciascuno si occupava della propria disciplina in armonia tra loro, senza alcuna arma, senza alcun tipo di minaccia. Quello che il filmato mostrava erano mani che lavoravano, corpi danzanti e volti fieri di mostrare quello che ora fanno.

"Aroeira- spiega Vilson Groh- nasce sulla base del sentimento delle mamme che si vedono portar via i loro figli a causa della droga, della vita malfamata. Nasce per trasformare quella sofferenza in resistenza. Qualche anno fa, dopo il funerale di un ragazzino di sedici anni, mi sono fermato con la mamma: lei era afflitta dal dolore. Non accettava che il proprio bambino gli era stato portato via così, ammazzato da chi gestisce il giro della droga. Ascoltavo le sue parole, ascoltavo il suo pianto. Negli ultimi venticinque anni ho visto piangere moltissime donne sulla bara dei loro filgi. Ognuna di quelle donne ha perso un figlio, ha perso il proprio figlio perché è stato ucciso, ha perso un pezzo della sua vita che non sa come sostituire. Quello stesso giorno, tornandomene dal cimitero, ho pensato che non possiamo continuare a piangere. Non possiamo solo piangere perché in questo modo non facciamo altro che tacere e accettare quello che succede. Io ho sentito il loro dolore e quel sentimento di indignazione. Ho pensato a come cancellare quella sofferenza, a come poter costruire una vita più serena. Dovevo pensare il loro dolore in una forma che potesse diventare progettualità. Come poter uscir fuori da quel pianto? Come poter salvare quelle mamme? E come soprattutto salvare quei ragazzi? Il pianto di ciascuna di quelle donne, il cadavere di ognuno di quei ragazzi non sono altro che il frutto di un sistema capitalistico, il frutto di una città che non si vede. Doveva esserci un'alternativa. Dovevo pensare ad un'alternativa. Ed ecco che ho pensato ad un'iniziativa educante. Aroeira è diventata in pochissimo tempo una possibilità di scelta. Insieme ad altri educatori ed animatori, abbiamo pensato ad un qualcosa che stimolasse i giovani a ricreare in loro l'autostima e che gli aiutasse a separare il passato dal futuro. Da sempre la nostra sfida è creare una possibilità e, attraverso la convivenza, la relazione sulla pelle, fare in modo che questi ragazzi e queste ragazze coinvolti nel progetto creino fiducia in loro stessi e tra di loro."

Aroeira si propone dunque come un tentativo di discutere su cos'è il lavoro e cos'è un impiego, su come produrre la quotidianetà della vita a partire ad esempio dall'arte. E questo si è mostrato sicuramente un tentativo riuscito. " Oggi fanno parte di Aroeira 1200 giovani provenienti  da quaranta territori diversi, tra l'altro da sempre in conflitto tra loro, riuniti insieme per la prima volta. Oggi, questi giovani si guardano negli occhi senza avere una pistola tra le mani. Pensano che sono uguali, dello stesso colore, della stessa razza, della stessa fascia sociale. Oggi questi ragazzi condividono un sogno, non più paure. E quelle mamme che fino a qualche anno fa vedevano i loro figli morire, ora li vedono realizzare un sogno”.

Questa è l’esperienza di milleduecento ragazzi che insieme cercano, giorno dopo giorno, di rendere vivibile la loro vita e la loro città. Ma le città di cui parla Vilson sono luoghi dove muoiono 800 persone l’anno, posti dove la ricchezza in termini di rendita, di abitazione e di salute, non è ben distribuita. “Ci sono zone dove le abitazioni spesso sono di fango, costruite a volte dalla sera alla mattina, e poi, piano piano, ingrandite. Sono i territori delle favelas, labirinti di una città completamente ghettizzata.- spiega Vilson- è a partire da questo che dobbiamo vedere un altro cammino per il diritto a vivere la città. Il modello economici prevede solo una figura di consumatore, ed ecco che le armi diventano un mezzo per procurarsi quello che c’è ad esempio nello shopping center. E la maggior parte dei quartieri dove muoiono i ragazzi, dove le persone vivono una vita meno tollerante, sono in periferia. Per questo dobbiamo rompere la relazione tra centro e periferia e pensare ad una equa articolazione economica e politica. Dobbiamo invitare chi dirige la città a pensare come riscattare una cultura della periferia,  come pensare la questione sociale in concomitanza con la cultura e rompendo col consumismo. Per ridiscutere la funzione sociale dello stato, dovremmo veder costruire nuovi spazi gestiti dallo Stato stesso perché, credo, se non partiamo dalle politiche pubbliche, questi territori non avranno mai la forza di confrontarsi ed essere protagonisti”

Mentre parla di piani delle città, di un nuovo ruolo dello Stato, di relazioni personali, Vilson cita un testo di Italo Calvino che mi piacerebbe ricordare: molte volte vivevo in questi spazi con una densità geografica altissima: 4700 persone in dodici mila metri quadri, significa dire “la realtà è un inferno”. L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, perché se ce ne è uno è già qui, è quello di tutti i giorni. Due modi non ti fanno soffrire: accettarlo e diventarne parte, o cercare e saper riconoscere chi e che cosa non è un inferno, farlo continuare e dargli spazio.” Questo testo- conclude Vilson Groh- è una forma per prendere coscienza della realtà e comprendere che non è sufficiente il pane se non è articolato con la bellezza intesa come cultura e libertà

(Marzia Papagna)