La libertà di giocare per le strade

Intervista a Ugo Pugliese

 

“Sono Ugo Pugliese. Mi occupo della ludoteca comunale di Napoli. Sono venti i bambini con cui noi educatori lavoriamo e giochiamo. Con loro abbiamo avviato un progetto, si chiama La città in gioco”. Durante il seminario, il quale titolo era “La città si parla. Diversità a confronto per costruire un nuovo protagonismo sociale”, Ugo Pugliese interviene con voce bassa, ma dall’accento chiaramente campano.

Lui con il suo intervento ha commosso un po’ tutti. Ha messo in evidenza una realtà, quella di Napoli, difficile e dura, ma da molta gente data per scontato e, per questo, messa da parte.

“A Napoli esistono due società, una ricca ed una povera. Sono diverse tra loro solo per il reddito, per la musica che ascoltano, per quello che indossano, per l’auto che hanno. Due società divise ma non distanti: a volte vivono negli stessi quartieri, a volte nello stesso palazzo. E’ ridicolo dirlo, ma spesso succede di camminare per le strade della nostra città e di sentire da una parte musica classica e da un’altra finestra musica napoletana”. Qui Pugliese si guarda intorno e fa dell’ironia: “Tutto sempre ad alto volume!” E torna a raccontare.

“ L’integrazione a Napoli non riguarda solo gli immigrati, ma gli stessi napoletani. Alcuni bambini abitano in situazioni prive di vivibilità a causa del degrado ambientale e sociale. Le strade sono spesso nelle mani della camorra e la conseguenza di ciò ricade sui più piccoli, che lì ci giocano e crescono, interiorizzando lo stile di vita di quel mondo sbagliato dove vige la legge del più forte.” Adesso scuote il capo…”non è giusto!- dice- altri bambini vivono nel lusso, in quartieri migliori, esteticamente più belli, ma il problema riguarda anche loro. Magari sapranno parlare meglio l’italiano, magari conosceranno l’inglese, magari risponderanno sempre grazie! O buona giornata signora!, ma vedono il mondo solo dentro quella scatola che è la televisione, dal terrazzo del loro appartamento o dal finestrino dell’auto del papà. Non è giusto!- ripete- anche loro hanno diritto a vivere la strada. Sono bambini che non percorrono la città, ma la attraversano. Vengono privati del diritto a conoscere quello che li circonda. Anche loro come quei bambini meno fortunati hanno diritto a godersi la propria città, a godersi la loro infanzia nel migliore dei modi. E il modo migliore per me non è né la playstation né divertirsi a scippare una vecchietta. E’ la strada. La strada senza troppe auto, senza camorra, senza droga. La strada che come nel passato diventava luogo di mediazione: le vecchiette sedute fuori, i bimbi che giocano a pallone, il fruttivendolo che non riesce a passare…..Si dice che ci dovrebbero essere più centri per togliere i bambini dalla strada. Bhé, io penso il contrario: ci dovrebbero essere strade più libere, più vivibili. La strada è un luogo d’incontro, da sempre. E’ questo il motivo che ci ha spinto ad immergerci in un progetto che vuole restituire la libertà di giocare per le strade, di divertirsi sporcandosi i pantaloni e le mani. La città in gioco vuole tentare di unire pratica educativa ed impegno sociale. Un impegno che tenda a ridurre gli steccati. Penso che la città si debba fare carico delle persone che la vivono, dei loro bisogni. Penso che la città debba offrirsi come città educante solo se riesce a soddisfare questi bisogni. Stando a contatto con i bambini, ho capito che i loro sogni non sono sogni qualsiasi, sono sogni speciali  forse per noi  difficili da capire, ma che possiamo provare a realizzare”.

Mentre lui parla, mi accorgo che in sala c’è un silenzio strano, un silenzio che sembra cercare e coinvolgere l’attenzione e l’ascolto di tutti. Un silenzio che, per la sua forza, riesce, con lo sfondo delle parole di Ugo Pugliese, a trasmettere una forte emozione. E credo di non essere stata l’unica a provarla. La gente annuiva, è rimasta seduta lì attenta. Nessuno si è spostato dalla sua sedia.

“C’è gente che vede le cose che esistono e si domandano perché. Io vedo le cose che non esistono e mi chiedo perché no”.  L’intervento d’ Ugo Pugliese si è concluso così.

(Marzia Papagna)