La Resistenza nonviolenta

Aldo Capitini e la Resistenza

in un'intervista del 1961

 

Avevo pensato intorno agli anni 60 di mettere mano a una storia della Resistenza in Umbria. Avevo già cominciato a raccogliere del materiale e delle testimonianze: non poteva mancare quella di Aldo Capitini. Gli chiesi così di incontrarlo. Lui si mostrò subito interessato al progetto. Ci vedemmo in un pomeriggio primaverile, se non ricordo male, del 1961, a casa sua, al Villaggio S. Livia, in un appartamento all'ultimo piano stracolmo di scaffali e di libri. Il colloquio, dato il tepore primaverile di quella giornata, si svolse nella grande terrazza, dalla quale l'occhio spaziava verso occidente in una serie di colline azzurrognole. Ricordo, nonostante i decenni trascorsi, molti particolari di quell'incontro, improntato alla massima cordialità.

A quel tempo sulla Resistenza umbra esisteva un limitato numero di indagini e pubblicazioni locali, molte ancora a livello di manoscritto, quindi quel colloquio, che alla luce di oggi non presenta nessun nuovo elemento informativo, avrebbe potuto allora rappresentare qualcosa di utile. Purtroppo non ebbi modo di portare a termine il mio progetto e l'intervista al professore, così come altri appunti che avevo raccolto qua e là, rimase inedita. Questa mi appare pertanto l'occasione giusta per rendere omaggio alla sua memoria e ricordare insieme i tratti essenziali della personalità e delle attività del grande umbro prima e durante la seconda guerra mondiale..

Subito dopo esserci presentati, Capitini mi consegnò un estratto dalla rivista mensile "Il Ponte", anno XVI, 1/1/1960, dal titolo "La mia opposizione al fascismo", poche paginette contenenti in forma autobiografica la ricostruzione attenta del suo percorso spirituale (1).

Entrando gradualmente nel ruolo dell'intervistatore, cominciai col chiedergli la sua posizione iniziale nei riguardi del fascismo.

Debbo dire che non mi sono mai sentito fascista, nonostante molti miei coetanei, come Bastianini ed altri, avessero pienamente aderito al regime e ne avessero adottato spirito e metodi. L'antifascismo maturò in me lentamente. Vivevo in maniera molto appartata e seguivo poco la politica. La mia simpatia però, lo ricordo bene, andava alle amministrazioni popolari. Penso che fu proprio il vedere l'Italia finita in mano allo squadrismo che mi portò ad estraniarmi dalla politica.

Fu il soggiorno pisano a modificare questo suo atteggiamento?

Nel '24 lasciai Perugia, a 25 anni. Avevo vinto un concorso come studente per l'ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ove poi divenni segretario economo. Effettivamente quelli furono per me anni decisivi. L'amicizia con studenti e professori antifascisti, come Ragghianti e Dessì, mi permisero di chiarirmi molte cose. Rimasi inoltre amareggiato e deluso dal Concordato del '29. L'avvenuta conciliazione tra Chiesa e Stato fascista mi apparve come un cedimento della Chiesa e cominciò di lì la mia ricerca di una diversa spiritualità, oltre che una profonda avversione alla ideologia e alla politica fascista. Cominciai a concentrare la mia attenzione su Cristo, Buddha, San Francesco, in particolare su Gandhi e sulla sua dottrina della non-violenza. Questi miei interessi e frequentazioni attirarono l'attenzione del regime su di me e nel 1933 ad opera di Gentile venni espulso da Pisa.

Cosa trovò di nuovo al suo rientro a Perugia?

Il clima generale era senz'altro peggiorato e per tirare avanti mi misi a dare lezioni private. Sotto la torre del palazzo comunale dove abitavo, ricevetti molte visite di antifascisti, dai comunisti ai liberali.. La mia casa divenne un punto d'incontro, abitavo allora sotto la torre campanaria comunale. Anche in Assisi c'era un punto di riferimento costituito dal pretore Alberto Apponi e da Franco Mencarelli. In particolare cercai di stabilire rapporti con i giovani perugini e tra questi ricordo Montesperelli, Frezza, Maestrini, Francescaglia e altri. Si venne poco a poco a creare una rete di oppositori anche mediante contatti interregionali. Tra questi La Malfa, Parri, Dessì e soprattutto Calogero e Ragghianti. Nel 1936 avevo conosciuto a Firenze Benedetto Croce e con lui mi trovai d'accordo soprattutto sull'importanza del ruolo che i giovani avrebbero potuto assumere in quella situazione. Ricordo alcuni giovani prima fascisti, quali Ingrao e Binni, mio amico già a Pisa. Croce veniva spesso a Perugia e una volta lasciò 500 lire per la nostra organizzazione. A volte c'era anche Antonio Labriola. La cosa dette i suoi frutti durante la guerra d'Africa e di Spagna. Dopo il 1937 dalla stretta collaborazione con Calogero nacque il Manifesto del Movimento liberal-socialista.. Ricercavamo una nuova socialità e una riforma profondamente religiosa. Vi aderirono Agnoletti, Codignola, Russo, Ramat, Francovich, Calamandrei, Luporini, Bobbio, nacquero gruppi in molte importanti città, mentre altri come Parri, La Malfa e poi Calogero e altri liberalsocialisti si indirizzarono verso posizioni più vicine al socialismo e intorno al 1940 dettero vita al Partito d'Azione.

Entraste in rapporto anche con Giustizia e Libertà?

Con Giustizia e Libertà erano diversi i punti di partenza. In quel momento poi il movimento era già stato stroncato. I legami con l'estero e con i fratelli Rosselli esuli a Parigi erano impossibili.

Torniamo all'Umbria?

Nel 1941 nacque un comitato clandestino composto da me, Vischia, Apponi, Spagnesi per i socialisti, Roganti per i comunisti. Apparvero le prime scritte antifasciste sui muri ad opera dei giovani Primo Ciabatti e Remo Tenerini, di loro iniziativa. Si ebbero degli arresti e delle torture. Il benzinaio Mario Santucci si gettò dalla finestra della Questura sulle scalette di S. Ercolano. La città era tutta sotto controllo. Ci furono 42 arresti. La paura dello spionaggio era grande. Tuttavia con l'avv. Monteneri, Paolo Canestrelli, Guglielmo Rasimelli, Luigi Catanelli riuscimmo a festeggiare il I° maggio. Nel febbraio del '42 venimmo arrestati io a Perugia, Ragghianti a Bologna, Calogero a Roma e portati alle Murate di Firenze, ove rimanemmo fino a giugno. Furono interrogati anche Ramat, Francovich, Codignola, Enriquez Agnoletti. Alla fine chi ebbe il confino chi potè tornare a casa e io fui tra questi. Tenevo Croce sempre informato di tutto. Continuavo a vedere anche Labriola e Ragghianti, Bobbio e Flora. Potevo muovermi perché non ero il più in vista. Tuttavia subii un altro arresto nel mese di maggio del 1943, alla vigilia della caduta del fascismo, e con me furono arrestati di notte professori e studenti, posso citare Ottavio Prosciutti, Francesco Innamorati, Ilvano Rasimelli e altri, poi liberati il 25 luglio con grandi festeggiamenti dagli amici. La mia adesione alla non-violenza mi impediva di partecipare alla resistenza armata, quindi il mio fu un ruolo piuttosto defilato, mi occupavo soprattutto dei contatti tra gli oppositori ideologici. Con questi si parlava della necessità di aprire, alla caduta del regime che ormai appariva segnata, un nuovo e profondamente diverso corso politico. Posso concludere dicendo che la mia azione di pacifista e di non-violento continua a destare sospetti anche nell'attuale regime democratico.

Bene, professore, la ringrazio e le porgo i migliori auguri.

Io ringrazio lei. Se riterrà utile vederci ancora, non esiti a chiamarmi.

La cosa non avvenne, ma di quell'incontro conservo ancora vivo nella memoria il ricordo. legato alla particolare mitezza e alla umana disponibilità di Aldo Capitini, il cui messaggio oggi si fa nuovamente sentire più autorevole e vivo che mai.

 

(Marcello Fruttini)

 

 (1) "Il Ponte" era una rivista fiorentina di grande prestigio nazionale, espressione del pensiero laico-socialista, edita da "La Nuova Italia". Ne era responsabile Tristano Codignola, che sarebbe entrato di lì a poco come sottosegretario alla Istruzione nel primo governo di centrosinistra, quello che nella sua brevissima durata (fino all'uscita della componente lombardiana, non incline ai compromessi e di cui Codignola faceva parte)  riuscì a promulgare alcune delle leggi più innovative della nostra storia repubblicana, quali l'introduzione della scuola media di tutti, cara a Capitini, l'abolizione della mezzadria, la nazionalizzazione dell'energia elettrica e altro.