“L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza arriva in Francia ed è un trionfo Il cielo di Catania visto da Parigi Intervista a Ivan Teobaldelli
SALGO LE SCALE BUIE DI UN ANTICO E PREZIOSO PALAZZO NEL CENTRO STORICO DI CITTÀ DI CASTELLO PER INTERVISTARE IVAN TEOBALDELLI, CRITICO LETTERARIO CHE VIVE TRA CITTÀ DI CASTELLO, FIRENZE E PARIGI. GLI CHIEDERÒ DEL SUO ULTIMO VIAGGIO IN FRANCIA E DEL GRAN PARLARE CHE SI FA A PARIGI DEL ROMANZO DI GOLIARDA SAPIENZA. CHE STRANI GIRI RIESCONO A FARE I ROMANZI… IO L’ HO CONOSCIUTA QUANDO ERA STATA APPENA PUBBLICATA LA PRIMA PARTE DELL’ARTE DELLA GIOIA (1995), E GOLIARDA VENNE A PERUGIA A PRESENTARLA ALLA LIBRERIA DI VIA OBERDAN, TRA POCHISSIME PERSONE. IN QUELLA OCCASIONE SIAMO DIVENTATI AMICI. DOPO LA SUA SCOMPARSA (1996), NEL PRIMO NUMERO DI QUESTA RIVISTA (NOVEMBRE 2001) ABBIAMO PARLATO DI LEI E DEL ROMANZO CON ANTONIA CAROSELLA, CHE DI GOLIARDA È STATA INTIMA AMICA PER MOLTISSIMI ANNI. SPERO CHE L’EMOZIONE NON MI TRADISCA TROPPO. DA UN LATO VOGLIO COGLIERE LA FELICITÀ CHE MI HA DATO IL SAPERE CHE L’ARTE DELLA GIOIA È PER IL 2005 IL PRIMO DEI ROMANZI STRANIERI VENDUTI IN FRANCIA, DALL’ALTRO HO DECISO DI FARLO CON TEOBALDELLI CHE INCONTRO PER LA PRIMA VOLTA E CHE CONOSCO DI FAMA COME RAFFINATO INTELLETTUALE CHE SI DIVIDE TRA PARIGI E FIRENZE. Ho vissuto con incredulità la riscoperta francese di Goliarda Sapienza. Era l’estate del 2004, e l’editrice francese Vivianne Hamy riceve una telefonata dall’editrice tedesca di Fred Vargas che le consiglia di leggere un romanzo apparso in Italia dieci anni prima. Tradurre un libro di 600 pagine non è certo uno scherzo, ma il romanzo è definito “meraviglioso”. Vivianne Hamy lo spedisce subito alla sua traduttrice d’italiano Nathalie Castagné che cinque giorni dopo la richiama. È eccitata dalla bellezza del romanzo e angosciata dalla responsabilità di tradurlo. Il progetto decolla. Guarda quanto sia stata decisiva, in questo avvenimento, la mano femminile. Non può essere un caso che costruire la fortuna editoriale di Goliarda in Francia sia stata “una catena” di donne. Senti cosa scrive Jean-Baptiste Marongui su “Libératon” del 6 ottobre 2005: “Modesta è una Bovary che fugge dalla lugubre provincia…., una Orlando che ignora i pregiudizi… Fiumi interi di letteratura occidentale sono confluiti ne L’arte della gioia conferendogli un respiro oceanico”. Perché tutto questo in Italia non è potuto succedere? Perché erano i tempi in cui la neo avanguardia intendeva fare “tabula rasa” del realismo. Lo detestava. Riusciva a sopravvivere Pasolini, ma il suo esperimento era inimitabile. Era difficile anche per l’Ortese col suo inclassificabile “Il porto di Toledo” o per la Morante con “La Storia”. E poi un’attrice che scriveva, come Goliarda Sapienza, era vissuta con sprezzo dai critici, era considerata un calcolo renale letterario. I critici italiani non sono mai stati dei leoni. I nostri intellettuali sono spesso una camarilla di mediocri che si sbrodolano addosso. Da secoli si rivolgono al principe e al Potere, disprezzando il pubblico. Il loro orizzonte oggi è il salotto televisivo, come un tempo la corte. In Francia la situazione è differente, anche perché lì vengono tradotti tutti gli scrittori in esilio. Non è un caso che “Cento anni di Solitudine” Marquez l’abbia scritto a Parigi e Cioran, Kundera e Jalloun abbiano vissuto e lavorato lì. C’è una grande attenzione anche a tutte le voci africane. L’anno prima di Goliarda c’è stata la riscoperta letteraria d’una scrittrice russa dimenticata: Irène Nemirovski. È un pregio e un’astuzia quella dei francesi di vivere dell’energia delle nuove letterature: compensano in qualche modo la loro attuale penuria di geni. È una tradizione ben consolidata. Non furono loro a tradurre per la prima volta il libro delle “Mille e una notte”? Posso testimoniarti che in Francia si legge molto. Se ti guardi in giro, in metrò o sull’autobus, è normale vedere operai e casalinghe in compagnia di un libro. Quella francese è un’industria editoriale molto potente, sostenuta da importanti premi letterari e da un circuito di librerie e biblioteche molto capillare. Ma come può un francese godere della prosa “siciliana” di Goliarda? La scrittura di Goliarda ha un respiro europeo. I suoi personaggi eccessivi non hanno niente di ombelicale. Nel suo romanzo, come dei fiumi, confluiscono la psicanalisi di Freud, il socialismo di Faurè, l’utopia panteista di D. H. Lawrence e la coscienza civile del Beccaria. Goliarda non gira attorno al tinello di casa: spazia attraverso le epoche e le ideologie, con sapienza letteraria, sensualità e spirito eretico. Questo la rende inclassificabile. Certo è curioso che dopo tanti anni sia la Francia a renderle giustizia e ad apprezzare la sua capacità di raccontare il colore del cielo di Catania e sessant’anni della storia siciliana, così indecifrabile e tellurica. Ma come si dice: nemo propheta in patria.
Goliarda Sapienza (1924-1996) nasce a Catania da una famiglia rivoluzionaria, da qui il suo nome. Il padre Giuseppe, avvocato e sindacalista, è animatore del socialismo siciliano. La madre Maria Giudice è direttrice del “Grido del popolo” di cui è redattore Antonio Gramsci. È anche la prima donna a dirigere la Camera del Lavoro di Torino. In questa famiglia Goliarda riceve una educazione alternativa a quella del regime. A sedici anni è all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Diviene attrice applauditissima nel Vestire gli ignudi di Pirandello. Tra i suoi romanzi: Lettera aperta (Garzanti 1967), Il filo di mezzogiorno (Garzanti 1969), L’università di Rebibbia (Rizzoli 1983), Le certezze del dubbio (Pellicanolibri 1987). L’arte della gioia è il libro al quale Goliarda ha lavorato per trenta anni e che è stato pubblicato postumo da “Stampa alternativa”, curato da Angelo Pellegrino.
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