L'auto contro l'infanzia e la vita comunitaria

Ray Lorenzo*

"C'è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza;
c'è solo la voglia, il bisogno di uscire ... di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo,
bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo".

Giorgio Gaber

La morte della vita comunitaria "urbana" ... il colpevole: l'automobile.

Credo che nessuno ci abbia avvertito - così presto e con tanta convinzione - meglio di Jane Jacobs del pericolo e dei danni di una politica urbana centrata (quasi) esclusivamente sull'automobile. Nel 1961, nel suo importantissimo (e molto letto) libro The Death and Life of Great American Cities, questa piccola, agguerrita e preparatissima attivista urbana ha prefigurato tutti gli effetti negativi che avrebbe comportato, per la vita comunitaria urbana, l'autodipendenza e il suo parallelo "progetto urbano moderno" - la zonizzazione monofunzionale con le sue reti di expressway e autostrade urbane che hanno martoriato i quartieri esistenti, tagliato le interconnessioni delle sue funzioni vitali e comunitarie e accelerato l'espansione delle nuove periferie invivibili e, anch'esse, autocentriche. La Jacobs, va detto, ha indicato le classi marginali, e soprattutto i bambini e le loro famiglie, come le maggiori vittime del principale errore dell'urbanistica (e dell'economia) moderna. Dopo 40 anni, le sue previsioni, inascoltate, si sono - purtroppo - tutte avverate.

Adesso, Ms Jacobs ci offre un altro importante (e tempestivo) libro, intitolato Dark Age Ahead in cui riprende l'argomento, insieme con molti altri, in un contesto più ampio - quello della "caduta" della cultura occidentale (lei tratta, in particolare, gli USA e il Canada...ma non esclude l'Europa) verso quello che lei chiama un "nuovo medioevo". Le "Dark Ages", vale a dire le "epoche oscure", sono caratterizzate, secondo la Jacobs, soprattutto dalla perdita, da parte di nazioni, imperi o società, della "memoria sociale" proprio di quelle invenzioni socio-culturali e tecnico-scientifiche che hanno contribuito maggiormente al loro progresso e alla loro "grandeur". Per l'autrice tra gli ingredienti fondamentali (delle culture/nazioni anglo-sassoni in questione) è quello di "comunità". Il significato di questa piccola parola è enorme. Lì si trovano: le radici della democrazia, le relazioni sociali e di mutuo soccorso che assistono lo sviluppo e l'evoluzione culturale, l'educazione dei figli, l'integrazione delle diversità, la produzione e la distribuzione locale, la sostenibilità ambientale, economica e sociale di tutto ciò. Di nuovo tra le cause della (quasi) scomparsa della "comunità" (si salvano sembra, e sono orgoglioso dirlo, i quartieri di New York) si situa centralmente l'automobile. La Jacobs scrive: " ... né la TV, né le droghe illegali bensì l'automobile è stato il principale distruttore delle comunità Americane". In Italia la situazione è altrettanto preoccupante e la causa, a mio avviso, è la stessa.

La nostra "autodipendenza" e la simultanea scomparsa di "comunità", inoltre, ci induce a "dimenticare quanto stavamo meglio prima". Ritrovare questa "memoria" e renderla "progetto per il futuro" deve diventare, ritengo, la componente basilare delle nostre strategie per una "mobilità sostenibile". Ed è solo attraverso una strategia partecipata e integrata - a 360° - che questo "progetto" può avere successo.

In Italia la situazione è altrettanto preoccupante. (e la memoria scompare)

Oggi, non ci sono molte persone che non direbbero che c'è un grave problema urbano in Italia. In molte città, grandi e piccole, le strade sono intasate per ore e l'aria, come risultato, è spesso irrespirabile. I livelli d'inquinamento atmosferico e acustico rappresentano un pericolo per la nostra salute. Il semplice atto di attraversare una strada o fare una passeggiata è diventato molto difficile. La dominanza dell'automobile e di una politica urbanistica che ha privilegiato la monofunzionalità (zoning) e il mercato immobiliare, ha causato la quasi scomparsa di vie residenziali, piazze, vicoli, parchi di quartiere come luoghi d'incontro, come ambienti di vita quotidiana. La tendenza in atto è quella di creare ghetti per ogni categoria sociale: i bambini a scuola o a casa davanti alla televisione (nella "migliore" delle ipotesi accompagnati nei parchi giochi o in palestra); i giovani nelle discoteche; gli anziani nei loro centri, chiusi in casa o all'ospizio; i commercianti nei centri commerciali fuori dal centro storico, ecc.

Il verde, la natura, importanti nell'ecosistema-città non solo per la loro funzione "biologica", ma anche come luogo di riposo, di socializzazione, di esplorazione e avventura, come fonte di ispirazione, sono stati spesso sacrificati, sopra un'altare di asfalto e acciaio cromato.

Chi soffre di più per questa situazione sono i più "deboli" - i bambini e le bambine in primo luogo, le loro famiglie, gli anziani, i disabili, chi non si muove in macchina, chi non può fuggire dalla città, i poveri.

Numerosi cambiamenti, scelte politiche e processi tecnologici - dagli anni Sessanta in poi - hanno trasformato molte città italiane, una volta famose per la loro "dimensione umana", in assurdi parcheggi abitati, nemici dei propri figli.

La "Carta dei diritti dell'Infanzia" dell'ONU, sancisce il diritto di tutti i bambini/e a luoghi sani e sicuri in cui giocare, esprimersi e socializzare... per poter crescere. E ancora, sancisce il loro diritto ad esprimere le proprie opinioni, avere informazioni e ascolto per tutto quello che li riguarda (ed è palese che una condizione urbana che chiude i bambini a casa o a scuola li riguarda, eccome). Al bambino privo di questi diritti - cui è negata la soddisfazione dei bisogni fondamentali per uno sviluppo equilibrato - soffre oggi, e sarà, con tutta probabilità, un adulto problematico, domani.

Le nostre città sono state occupate da una "spedizione nemica" composta d'acciaio, cemento armato, asfalto e gomma. È arrivato il momento per noi tutti, se vogliamo "vivere la città", di riconquistarle.Eppure non è stato sempre così. Noi adulti cresciuti in città non ancora "occupate" dalle macchine, dall'asfalto e dal cemento dovremmo conservare, intimamente, ricordi pieni d'affetto per i luoghi urbani che perlustravamo quotidianamente. Perché non rammentiamo (se scaviamo nella nostra anima), il giocare per strada a nascondino nelle sere di primavera; la "caccia" alle rane e alle lucciole negli orti urbani; la costruzione di case sugli alberi e le capanne erette sui margini dei fiumi; le conversazioni e le attività conviviali con gli anziani e gli artigiani nelle piazze e per le strade? Quante distrazioni, quante sovrastrutture...e quanta propaganda...ci hanno convinto che l'automobile rappresenta un "progresso" o un "beneficio"? Per noi adulti forse c'è qualche seme di verità in questo pensiero. Ma i nostri figli, se interrogati seriamente, sanno quanto sbagliamo. E sanno che l'automobile per loro rappresenta solo un problema. Il problema.

Come possiamo "riconquistare" queste "memorie" passate di città e quartieri diversi e renderle proposte future?

Molte speranze per il futuro ... il modo per andare più in fretta è rallentare (insieme).

I saggi buddisti c'insegnano che "il modo per andare più in fretta è rallentare". Nell'ultimo decennio si è verificata una consistente diffusione di questo principio in tutti quegli ambiti che potremmo definire (verso) lo sviluppo sostenibile. In moltissimi campi ci sono stati numerosi sviluppi positivi: nelle legislazioni e nella pianificazione urbana, nelle attività delle Agende 21 Locali, nella formazione e nella ricerca, nelle pratiche quotidiane e nelle azioni locali. In favore di una mobilità alternativa e per città sostenibili.

Ritengo che, oggigiorno, esistano i presupposti per recuperare le "memorie sociali perdute" e costruire altre "memorie future" di luoghi e percorsi urbani ancora più sostenibili e conviviali. Che sia possibile, oggi, immaginare, pianificare, progettare e realizzare città e territori che siano veramente amichevoli verso i bambini/e e a ragazzi/e. Riteniamo, inoltre, che le caratteristiche di una "Città Amica dei Bambini" (Child Friendly City) siano indistinguibili da quelle di una "città sostenibile" o da una "città amica di tutti cittadini". Infine, riteniamo che il momento è maturo per apportare le trasformazioni culturali, tecnico-professionali e politiche essenziali per compiere il "salto di qualità" che ci porterà, man mano, verso città nuove, amichevoli e conviviali, sostenibili e con giustizia per tutti.

Purtroppo, in molti casi, gli attori di un campo operano nella quasi totale ignoranza delle attività e degli scopi degli altri. Ignorano le potenzialità e le sinergie raggiungibili soltanto attraverso il confronto, il dialogo e la collaborazione.

Per questo motivo, la nostra sezione della Fiera delle Utopie Concrete vuole raggiungere e coinvolgere tecnici e operatori della pianificazione e della progettazione urbana e territoriale (sia pubblici che privati), ambientalisti associati e singoli, docenti ed operatori nei campi educativi e sociali, esperti nella gestione di processi complessi, operatori economici, ecc.

Il nostro seminario intende essere uno spazio per l'acquisizione e lo scambio d'informazione, un forum di discussione di brainstorming ed una banca dati delle "buone pratiche". Ci auguriamo che il nostro lavoro (e il vostro) nella costruzione di una futura rete operativa e la sua gestione offrirà occasioni di riflessione, di crescita culturale e d'avviamento di azioni locali e congiunte per migliorare le nostre città ed il nostro territorio in favore della sostenibilità ed a favore dei bambini e di tutti. Per finalmente, poter riconquistare - o meglio ricostituire - le nostre strade e le nostre città non a misura dell'automobile ma a misura dell'essere umano e con rispetto per tutti gli altri esseri e, così, ritrovare le nostre "memorie" e la nostra "comunità perduta".

*Urbanista esperto in progettazione partecipata