L’odore dei flauti

Intervista a Giovanni Brugnami

Nella chiesa-museo di San Francesco a Corciano, Daniele Bernardini e Giovanni Brugnami hanno allestito una mostra di flauti, ricostruiti con le tecniche tradizionali e poi usati in un concerto dimostrativo dell’ "Ensemble Fiffaro Consort". Ne parliamo con il musicista Giovanni Brugnami, alla cui passione si deve gran parte delle ricostruzioni.

L’idea della mostra è innanzitutto per far vedere questi strumenti, che sono un po’ particolari: l’abbiamo proposta all’assessore e al Comune, che hanno reagito in maniera positiva e ci ha dato questi spazi. Penso che la particolarità di una mostra del genere, e l’impostazione che abbiamo voluto dare noi, non è quella di una mostra statica, ma cercare di proporre questi oggetti sia in visione ma è possibile anche suonarli, perché oltre a curare la mostra noi fondamentalmente siamo degli strumentisti, quindi l’aspetto estetico ci interessa ma relativamente meno, anche se forse interessa di più al pubblico. L’idea nostra era quella di dar vita alla mostra, che infatti si intitola "una mostra tutta da ascoltare", come è scritto sul dépliant: fare qualcosa di vivo.

Però dietro alla mostra c’è il lavoro di costruzione.

Sì, innanzitutto c’è la grande passione che abbiamo io e Daniele Bernardini riguardante la musica e gli strumenti dell’antichità, soprattutto del Medio evo e del Rinascimento, e questo ci ha portato a studiare ed approfondire le prassi esecutive, perché siamo strumentisti di estrazione classica, abbiamo studiato all’Accademia, però certi strumenti non si imparano lì, sono strumenti di specializzazione: bisogna andare da strumentisti che non stanno qui. E parallelamente allo studio esecutivo degli strumenti, c’è un discorso di ricerca organologica: cioè, questi strumenti come venivano costruiti? con quali materiali? che accordatura avevano? Questo non lo sa nessuno; le mie sono delle ipotesi, io non ho la presunzione di dire che lo strumento aveva questa accordatura; e le mie ipotesi si basano sull’iconografia: l’Umbria (come l’Italia) è ricca di immagini iconografiche, basta andare ad Assisi, o in Galleria nazionale, è possibile vedere strumenti appartenenti al periodo del Quattro-Cinquecento; io l’ho guardati, cercando di vedere le dimensioni in rapporto alla persona, esternamente riesco a costruire uno strumento simile.

Per esempio questo corno, che procedimento…

Questo non è uno strumento difficile da costruire; nella musica ci sono strumenti veramente complessi, e sono quelli che hanno una grande estensione di note: questo corno invece ha solo otto note, per cui è relativamente facile da costruire. Questo è un volgarissimo corno di una vacca maremmana, me l’aveva dato un macellaio che l’aveva verniciato di rosso, e infatti si può vedere ancora il rosso da qualche parte; io ho messo di più a ripulirlo che a costruirlo. Il principio di funzionamento è come un flauto a becco: ha la stessa ugnatura, che permette all’aria di dividersi e quindi di entrare in vibrazione e produrre il suono; dentro è vuoto,. È stato svuotato, qui in fondo c’è un tappo di gesso, opportunamente lavorato, io costruisco un canale dove l’aria viene immessa a forza ed entra in vibrazione. Uno strumento relativamente facile da costruire.

Come si prepara il corno?

Prima di tutto bisogna ripulirlo, e ripulire un corno è un compito abbastanza infame; il macellaio me li dà con la carne dentro, quindi ci sono vari sistemi: o uno lo mette fuori e aspetta che l’interno si decomponga e poi lo leva, oppure si fa bollire: io li ho fatti bollire; e mia sorella lo sa bene, perché puzzano. Una volta che il corno è bollito, si può estrarre il corno interno, che è diviso dall’esterno solamente da una cotica: attraverso la bollitura, la cotica si lessa, io lo rivolto, gli do le botte e lo faccio scivolare; poi lo disinfetto e comincio a lavorarlo. Non tutti suonano, e non tutti riescono bene, perché devono avere una certa cavità dentro, e io me ne accorgo solo quando l’ho ripulito e quando comincio a farlo suonare: una percentuale del cinquanta per cento non suona. Allora comincio a fare le fasi del suono: faccio l’ugnatura, faccio il tappo di gesso, e dopo le varie fasi comincio a suonarlo: se suona procedo a pulirlo, a intonarlo, se no lo butto via; tanti ne ho buttati. Alcuni sono vuoti fino in fondo e sono i migliori, altri invece sono pieni e non ne puoi fare niente.

E invece i legni?

I legni, la costruzione di un flauto a becco, è una cosa molto più difficile. Il lavoro del liutaio è una tradizione che si tramanda da padre in figlio, ed è veramente difficile carpire i segreti, entrare in botteghe di costruttori che ti possano dire come li costruiscono. Quello che ho fatto, io l’ho fatto da solo, sperimentando, provando; ho provato a contattare degli artigiani, i quali neanche… io li capisco, perché il lavoro dell’artigiano che costruisce il flauto è veramente grande. Si tratta della scelta del legno, che tipo di legno: tra i legni migliori, in Umbria c’è l’olivo, e io ho usato l’olivo; poi il bosso, un altro legno molto utile, ma ha un accrescimento molte lento, ed è difficile trovare del bosso grande; poi acero, pero: generalmente, gli alberi da frutto sono i più adatti per la costruzione dei flauti. Nel Medio evo, c’era la pena di morte per chi tagliava gli alberi da frutto, quindi gli strumenti fatti con alberi da frutto erano solo di proprietà dei signori. I più usati erano quindi il bosso e l’acero; io infatti li faccio con questi; quindi prima di tutto si tratta di scegliere il legno, poi si fora dentro secondo la cameratura del flauto che si vuole fare, si tornisce all’esterno, e poi comincia veramente il lavoro difficile: costruire un flauto rinascimentale, come ho fatto io, con l’olivo, è difficile, perché hanno un’estensione di diciotto o diciannove note, le quali devono essere precise: se una non fa, non lo puoi utilizzare. Nella costruzione di uno strumento concorrono leggi acustiche, fisiche, non è solo questione di manualità, sono corpi vibranti: se è lungo ha un suono, se è la metà ha l’ottava.

Il legno come va trattato?

Il legno è al naturale, non gli faccio niente; io lo prendo ben stagionato, oggi lo stagionano nei forni, infatti perché nel passato costruivano i grandi strumenti, gli Stradivarius, che adesso è difficile costruire, perché avevano legni stagionati di cent’anni: il padre metteva a stagionare il legno che sarebbe stato lavorato non dal figlio, ma dal figlio del figlio; oggi stagionano nei forni, e dopo gli strumenti non vibrano bene. Io non gli faccio niente: man mano che lo tornisco, lo stucco se ha dei difetti, come nodi, crepe, c’è uno stucco fatto apposta; e poi una volta che è finito, gli do solo l’olio di mandorla, che lo impermeabilizza un po’ e rende più vivo il suono, e gli va dato ogni mese. Infatti senti, odorano, si sente l’odore del legno d’olivo. Infatti ho trovato questo legno, che poi in Umbria c’è tanto olivo ma non è facile trovarlo stagionato, me lo ha dato uno che lo voleva bruciare, pensa, lo voleva bruciare! Quattro o cinque tavole, stagionate di una ventina d’anni! Chiaramente erano spaccate, quindi ho dovuto selezionare, scartare, però…

Che attrezzi usi?

Tutti, oggi, a livello di hobbistica, se ne trovano tanti. Ecco, in questa vetrina ci sono le varie fasi di costruzione: ecco, il primo procedimento è tagliare il legno, squadrato; secondo, lo buco con il trapano a colonna: c’è un lavoro dentro il foro! tutti i segreti stanno dentro il foro; sembra cilindrico, invece se lo guardi bene non è cilindrico, ha delle svasature a seconda delle note che deve fare; per esempio, questo è spaccato, ma va bene lo stesso, non arriva in fondo; poi lo tornisco esternamente; il passo successivo, faccio l’ugnatura; vedi quest’immagine tardo trecentesca di angelo suonatore sta a Barcellona, al Museo della Catalogna, io cerco di ricostruire il flauto come nell’immagine; poi sento se suona, perché se non suona…, a quel punto comincio ad accordarlo, comincio a fare i fori, comincio dal fondo; questo è il corpo del flauto, è di bosso, è durissimo; questo invece è legno di pero, guarda che bel colore che ha, ho scelto questo legno perché nell’immagine il flauto ha un colore un po’ rossastro.