SOMMARIO                             

Da Johannesburg a Città di Castello

Pensare localmente, agire globalmente

LA FIERA DELLE UTOPIE CONCRETE HA ORGANIZZATO (TRA IL 10 E IL 13 OTTOBRE 2002 A
CITTÀ DI CASTELLO) UN SEMINARIO PER DISCUTERE SUI RISULTATI DEL VERTICE DI
JOHANNESBURG E DEGLI SPUNTI CHE DAL VERTICE SONO VENUTI PER LAVORARE SULLA
SOSTENIBILITÀ A LIVELLO LOCALE. RIPORTIAMO ALCUNI TRA I BRANI PIÙ SIGNIFICATIVI
DEGLI INTERVENTI.

Wolfgang Sachs, del Wupperthal Instut: Perché siamo andati a Johannesburg; quali sono i fatti di
Johannesburg, e quali sono le lezioni che i possono trarre da Johannesburg? Io sono stato a Johannesburg
anche per rappresentare il Jo’burg Memo, un lavoro preparato da un gruppo internazionale di tecnici.
Johannesburg è stato un compleanno, imbarazzante come tutti i compleanni: il decimo compleanno della
Conferenza di Rio, che si è tenuta nel 1992. E l’imbarazzo non se ne è andato anche oggi, perché non c’era
un progetto chiaro, definito; non dovevano essere prese decisioni, per cui si parlava di tante cose diverse,
di tutte le grandi domande che oggi il mondo si trova davanti, ma niente di specifico. Però, per fortuna, per
questo compleanno c’erano più di una festa: c’era il vertice governativo, ma anche la conferenza non governativa,
dove si è riunito tutto il vasto mondo della società civile, dai gruppi di base del Sudafrica fino agli amici degli
uccelli della Norvegia. Perciò io mi sono divertito al compleanno, perché per lo più sono andato a questa festa,
che era bellissima, perché c’erano tante persone diverse, da tutti gli angoli del mondo, e sono rimasto
impressionato dalla competenza e dalla ricchezza di esperienze che hanno portato. Ho capito che quelli che si
impegnano per l’ambiente e la giustizia sono una sub-cultura presente dappertutto nel mondo.
La conferenza ufficiale invece era un mercato delle vacche: negoziati, trattative, ore e giorni di discussione sulle
virgole. Ma la società civile è avanti rispetto ai governi. Per questo non mi rincresce di esser stato a questa festa
di compleanno.

Gianni Tamino, dell’Università di Padova, eurodeputato verde: Molti sono andati per la preoccupazione
che, dopo dieci anni da Rio, non si fosse raggiunto granché, e che addirittura non si intendeva più portare avanti
i principi e i programmi affermati a Rio. Già negli incontri preparatori si aveva avuto la sensazione che le cose
si mettessero molto male, tra la completa indifferenza dei governi. Io sono andato per conto di una ong
(organizzazione non governativa), con l’obiettivo di capire se sui temi come la biodiversità il lavoro si sta
bloccando o si può andare avanti.

Gianfranco Bologna, Portavoce del Wwf Italia: Ho la sensazione che attraversiamo tempi molto
critici: fin dalla conferenza di Stoccolma del 1972, la prima conferenza delle Nazioni Unite dedicata ai problemi
ambientali, si è cominciato a "fortificare" l’idea di mettersi attorno a un tavolo, tutti i governi del mondo, e cercare
dio individuare delle regole comuni per gestire i beni comuni, che appartengono all’umanità, come l’aria, l’acqua,
la biodiversità; e questi beni comuni non possono appartenere a qualcuno. Da Stoccolma, e poi Rio, si è avviato
un processo, faticoso, lento, criticabile se volete, che oggi ha portato a circa duecento tra convenzioni e trattati
internazionali che governano la gestione dei beni comuni. Trattati che interessano anche aree locali, dove non c’è
più il discorso della sovranità nazionale che la fa da padrone. Ebbene, negli ultimi tempi c’è stato un attacco
durissimo a questo sistema: dalla conferenza di Rio e dalla caduta del muro di Berlino nell’89, era nata la speranza
di tutti che finalmente si aprisse una nuova era che andasse nella direzione di uno sviluppo meno insostenibile
dell’attuale e che si cominciassero a eliminare le profonde iniquità a livello sociale in tutti i paesi, in particolare
nei paesi del sud del mondo. Ebbene, questo non è avvenuto: negli ultimi dieci anni noi abbiamo assistito a
un fenomeno drammatico e vergognoso, quello della crescita dell’economia transnazionale e insieme
all’abdicazione della politica, cioè i governi del mondo non hanno più regole all’economia e si è deciso, sia pure
 non in modo esplicito, che a livello mondiale i paesi ricchi, quelli che hanno le maggiori responsabilità del livello
di iniquità sociale del pianeta, hanno scelto di avere come priorità politica la libera circolazione di merci e di
denaro e di non avere come priorità la tutela della salute umana.

Assessore al Comune di Modena: E’ sostenibile lo sviluppo sostenibile? O converrebbe orientarsi al concetto di
società del limite e, in ogni caso, parlare di diritti e parlare di giustizia?

Gianfranco Bologna: Tutti hanno capito perfettamente che è impossibile parlare di sostenibilità dello
sviluppo senza capire le tendenze mondiali delle dimensioni economiche e finanziarie del commercio delle
economie planetarie. Se non si riesce ad armonizzare le economie internazionali con le esigenze della sostenibilità
dello sviluppo, sia sociale, sia economico, sia ambientale, non ha alcun senso parlare di sviluppo sostenibile.
A Johannesburg su questi temi non c’è stato alcun passo avanti: vale a dire che su commercio, finanza e tematiche
di globalizzazione i documenti finali sono usciti peggio di come erano stati presentati. I governi di tutto il mondo,
capitanati dagli Stati Uniti, hanno deciso che di questi non si doveva parlare, perché questa era una conferenza
che doveva discutere di sviluppo sostenibile, quindi non di commercio; per essere più chiari, dal 1995 esiste
’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc, in inglese Wto), che non è una ong, è un organismo voluto
da tutti i governi del mondo, anche con grande insipienza dai governi, spesso i parlamenti non sapevano di che
cosa si trattava: nella dichiarazione della Omc c’è un intento molto preciso: come il commercio possa avere
priorità sulle leggi locali; quando c’è una norma di carattere internazionale che può essere messa in discussione
tra un interesse sociale e un interesse commerciale, questo prevale. Quindi Johannesburg è stato del tutto inutile,
perché la sfida era quella di affermare che non è possibile pensare ad una sostenibilità dello sviluppo dal punto
di vista ambientale e sociale se non c’è la sostenibilità dello sviluppo dal punto di vista economico e finanziario, e
quindi commerciale. E questo è stato un fallimento. Concludo sul tema della guerra: in questa situazione, c’è un
conflitto gigantesco sul petrolio, in cui una società avanzata che rinuncia a capire come si può andare incontro
alla restrizione delle fonti fossili e cambiare un sistema che sta producendo le nefaste conseguenze che sappiamo:
finché avremo questa situazione, la guerra sarà un dato di sistema centrale per la difesa degli interessi dei paesi
ricchi rispetto all’accaparramento delle risorse fossili. Se non ci mettiamo a lavorare per un’alternativa, nel
momento in cui il petrolio dovesse avere un picco di caduta la situazione precipiterebbe.

Gianni Tamino: Come ha detto Wolfgang, c’erano due vertici: il vertice dei governi e il vertice della società
civile. Il vertice ufficiale: già avevamo avuto la sensazione della volontà di alcuni governi di farlo fallire, e in primo
 luogo gli Stati Uniti; ma ci si aspettava comunque che dopo dieci anni da Rio ci sarebbe stato da una parte
un rilancio e dall’altra uno slancio per nuove iniziative. Il rischio era di non fare neanche il bilancio, e di arrivare a
negare le "conquiste" sulla carta di Rio. In pratica, seppure molte cose sono state avviate dopo Rio e grazie a Rio,
in termini concreti la considerazione ufficiale (è nel documento finale, ma ben chiara già da prima): "Sappiamo che
gli obiettivi che ci siamo proposti a Rio non sono stati raggiunti; constatiamo con profonda preoccupazione che i
progressi sulla via dello sviluppo sostenibile sono stati più lenti del previsto; … e adottando questa risoluzione
sullo sviluppo sostenibile riaffermiamo la nostra volontà di difendere i principi di Rio". Cioè, il fatto di sottolineare
che "riaffermiamo la nostra volontà di difendere i principi di Rio" non deve far pensare che si parte da Rio: è che
riaffermare quei principi è stata una conquista. E questo è grave, perché dopo dieci anni ripartiamo da Rio ma
con dieci anni di ritardo. Non che in questi dieci anni non ci siano state cose positive, come l’Agenda 21, che in
molti luoghi ha funzionato: ma ci sono comuni impegnati in Agenda 21 che se si vanno a vedere le loro politiche
sul traffico, sui contenimenti di consumi energetici, praticano esattamente il contrario. Anche il vertice Fao di
Roma era un segnale pesante di un possibile fallimento. Alcuni governi, e specialmente gli Astati Uniti, avevano
interesse a far fallire tutto, e il vero obiettivo, al di là della sostenibilità, era mettere in difficoltà la stessa Onu,
anche in funzione della guerra preventiva. In questo senso, pur essendo molto critico, io dico che è stato un
leggero passo avanti ottenere un accordo finale; ma per queste premesse, l’accordo finale era al ribasso, ma
almeno ha evitato per le Nazioni Unite il fallimento. Kofi Annan ha fatto intervento al vertice della società civile
chiedendoci aiuto per cercare di contrapporci alle spinte dei governi che impediscono una reale riforma delle
Nazioni Unite. Del resto, si parla di mantenere i principi di Rio, ma manca ad esempio il principio di precauzione,
che a me sta molto a cuore, che parte dalla considerazione che sui problemi complessi non avremo mai una
completa conoscenza scientifica, perché non sono regolati da leggi deterministiche, come è il caso del clima.
In assenza di certezze scientifiche, noi non possiamo impedire di prendere decisioni, di assumere il governo
dei processi, attraverso il principio di precauzione, che non è un principio scientifico; ma quando non si
conoscono le conseguenze di certi atti, è meglio essere cauti, è meglio ritardare un processo utile che accelerare
un processo pericoloso. Un esempio: noi possiamo sapere scientificamente che un processo è cancerogeno solo
contando i morti, ma dal punto di vista di chi deve prendere delle decisioni contare i morti non serve a nulla, ed è
anche immorale: da qui la necessità di assumere la responsabilità di governare i processi anche rischiando di
ritardarne qualcuno. Il vero nodo è quello dell’interazione con l’Omc, che dal ’95 irrompe sulla scena mondiale
con poteri reali, di fronte a una crisi crescente delle Nazioni unite: il risultato è nella formulazione finale (lettera
R del punto 42), che subordina le scelte sulla biodiversità alle decisione della Omc. Ciò significa rovesciare la
logica, subordinare Rio alla Omc, e non invece riaffermare con forza un processo di sostenibilità. Se fino a Rio
parlare di sviluppo sostenibile era un passo avanti, oggi è una ambiguità: bisogna parlare di sostenibiltà, perché il
termine sviluppo sostenibile ha portato a mettere l’accento sullo sviluppo, inteso come crescita, e molto meno
sulla sostenibilità.

Wolfgang Sachs: Dunque il successo di Johannesburg è nel fatto che avrebbe potuto andare peggio.
E questo si riferisce alla situazione politica generale e al ruolo degli Stati uniti che hanno cercato di fare
ostruzionismo, di portare il processo indietro rispetto a Rio. Questo tentativo è fallito; ma quello che ha fatto
arrabbiare il sud è stato l’aver messo in dubbio il principio delle responsabilità comuni ma differenziate: il sud si
sente perduto se non ha la certezza che il nord assuma per primo la sua responsabilità; si sente chiedere di essere
ecologico dal nord, che continua intanto ad accumulare crescita e potere, e il sud di nuovo rimane indietro, con un
nuovo colonialismo nascosto dietro un discorso ecologico. Secondo: cosa è successo a Johannesburg rispetto
alla globalizzazione? Si può dire che il punto di partenza non era Rio, ma erano le decisioni prese in seno alla Omc
nel suo vertice di Doa, dieci mesi prima. Questo era il tabù: le regole del mercato e il programma per il futuro
andamento della Omc. Terzo punto: cosa è stato fatto per ridurre l’impronta ecologica del nord? Poiché il vertice
ha concentrato l’attenzione sui problemi del sud, i conflitti del nord sono rimasti nell’ombra; certo nessuno ha
menzionato la più grande battaglia, quella sulle energie rinnovabili, o una discussione sulle forme sostenibili di
consumo. Da ultimo, in tutti e due i casi la Unione Europea aveva messo sul tavolo delle proposte per un
programma di dieci anni rispetto ai consumi sostenibili, e per introdurre una percentuale di energia rinnovabile del
10% per l’anno 2010: l’Europa è stata sconfitta, per due motivi: c’è il fronte "fossilistico" (paesi Ocse e paesi
Opec, più i paesi del carbone come Cina), e in più c’è stato il G77, con paesi come Brasile, Indonesia, che non
riescono a farsi avanti e si fanno dominare dai paesi petroliferi. Così non si riesce ad avviarsi alla transizione verso
 un’economia post-fossile. Infine, cosa è successo rispetto ai diritti alla sussistenza? Qui, grazie al ruolo trainante
del Sudafrica, gli accordi raggiunti sull’acqua, sulla sanità, sono apprezzabili; ma nel vertice è stata data una nuova
definizione della giustizia nel mondo, che questa dipende dall’accesso ai mercati del nord.
Questa definizione è stata molto contestata dalle ong, perché se è nell’interesse del sud essere contrattuale nei
confronti del nord, ma rimane la domanda: l’integrazione nel mercato mondiale serve ai contadini dei paesi del sud?
 E serve ad una agricoltura sostenibile? Certo è probabile che l’accesso mette di nuovo in svantaggio i contadini e
anche la sostenibilità. La strada maestra del futuro è di praticare non il mercato libero, ma il mercato equo.