Emergenza pace

Gino Strada e Teresa Sarti

Hanno conquistato proprio tutti con la loro simpatia e genuinità di spirito Gino Strada e la moglie Teresa Sarti, che hanno incontrato i gruppi Emergency di Perugia, Spoleto, Bastia Umbra e Lago Trasimeno nella sede dell'associazione MenteGlocale, a Perugia, lo scorso 4 gennaio. Una riunione informale, quasi un incontro tra amici che, subito dopo i bagordi di Capodanno, vaneggiano sulla pace, sul ripudio della guerra e sul coraggio impossibile di chirurghi e infermieri che rischiano la vita al confine tra Pakistan e Afganistan o a Kabul sotto i bombardamenti. E invece erano più di 50 i volontari che per oltre tre ore hanno ascoltato le parole del leader dell'organizzazione umanitaria italiana più attiva e del suo braccio destro, la moglie Teresa.
Emergency nasce nel cuore del chirurgo milanese nel 1988, quando cominciano i suoi lunghi periodi di assenza dall'Italia per l'attività medica nei Paesi cosiddetti "in via di sviluppo" per conto della Croce Rossa Internazionale. Al ritorno da queste esperienze Gino racconta storie di guerra vera e vissuta. Non quelle sensazionalistiche propinate dai media, ma la realtà che si trova ad affrontare un chirurgo che non ha mai visto sotto i suoi ferri un soldato, perché in sala operatoria gli unici feriti su cui mette le mani sono i contadini a cui è scoppiata una mina addosso mentre seminano o i ragazzini colpiti mentre si trovano a pascolare le greggi. Storie che oggi l'opinione pubblica può conoscere senza grandi difficoltà anche grazie all'informazione alternativa, quella che non necessita dei grandi mezzi di informazione per gridare al mondo il suo contenuto.
Al ritorno dal suo ennesimo viaggio in Afganistan, tra Natale e Capodanno del 1993, Gino annuncia la sua idea agli amici riuniti intorno alla tavola: "Bisogna creare una organizzazione umanitaria piccola, agile e indipendente che curi le vittime civili delle guerre". Solo pochi mesi dopo, il 15 maggio del 1994, in un ristorante milanese, viene presentato il manifesto con gli obiettivi di Emergency e la prima campagna, per la messa la bando della produzione italiana di mine. In quell'occasione vengono raccolti 12 milioni e mezzo di lire, il capitale iniziale dell'organizzazione. Teresa confessa che, anche in quell'occasione, non riusciva ad essere convinta della strada che lui e il marito stavano intraprendendo. Con il tempo ha capito qual'è la forza di Emergency, e cosa vuol dire piccolo e agile, ma soprattutto indipendente.
La forza di Emergency si basa su tre pilastri fondamentali: un’idea forte, che 9 vittime di guerra su 10 sono civili; il personale, alla base dell'attività medica c'è tanta professionalità, e grande passione e umanità; la partecipazione civile, il lavoro dei gruppi locali, che danno forza e vita all'organizzazione.
Nell'ultimo anno i progetti di Emergency per la costruzione degli ospedali sono aumentati, soprattutto in Afganistan dove è già in programma la costruzione di un terzo ospedale e forse anche di un quarto in futuro. Tutto ciò è stato possibile in quanto, nonostante tutto, è cresciuto il consenso attorno ad Emergency, dimostrato concretamente dai fondi raccolti. "È bastato guardarci in faccia - ricorda Teresa - per decidere di rifiutare i fondi che il Ministero degli Esteri voleva destinarci per la nostra attività in Afganistan: siamo dell'idea che non si può, con una mano decidere di partecipare alla guerra e con l'altra servirsi delle organizzazioni umanitarie per dire quanto siamo bravi perché aiutiamo un popolo colpito dalla guerra"
Si trattava però di una bella somma: dei 70 miliardi stanziati per l'Afganistan, ad Emergency ne sarebbero andati subito 2 e mezzo e tanti altri ad attività già intrapresa. La preoccupazione era tanta. Gli italiani avrebbero potuto non capire la coerenza che stava alla base di questa decisione e considerarla invece come un atto di superbia che poi avrebbe portato solo danni agli afgani. E invece gli italiani hanno capito ed apprezzato, e dal 7 ottobre del 2001, data del primo bombardamento sull'Afganistan, fino a gennaio dell'anno scorso, sono arrivati molti più soldi di quelli che erano stati rifiutati. E questo vuol dire essere indipendenti. Questa è la vera solidarietà, quella consapevole.
E' stato un anno molto duro però, non solo a causa della preoccupazione per Gino, Kate e gli altri occidentali a Kabul in un momento di tensione, ma anche a causa degli attacchi dei media. Prima che iniziasse la guerra il consenso verso Emergency era trasversale. Ovviamente la sua posizione, in quanto organizzazione dalla parte delle vittime di guerra e contro i suoi cosiddetti effetti collaterali, che poi hanno facce e corpi e personalità, era contro la guerra, ma l'intervento in Afganistan ne ha amplificato il messaggio. E' aumentato il consenso e l'affetto delle persone, ma per la prima volta sono stati sferrati degli attacchi pesantissimi attraverso la stampa, non solo sui giornali di una certa appartenenza politica, come Il Foglio, Libero o Il Giornale, ma anche su giornali più trasversali, come il Corriere della Sera.
Ma gli italiani non hanno creduto a calunnie del tipo "tutte chiacchiere e niente fatti" e così il budget del 2002 ha superato di 3 miliardi quello del 2001 chiuso a quota 27.
Nell'ultimo anno Emergency si è fatta promotrice, insieme a gruppi organizzati e famiglie, di un cammino verso un movimento per la pace. Durante la riunione milanese dei gruppi locali del 2002 è emersa la preoccupazione che l'organizzazione stesse diventando qualcosa di diverso: la chiamavano "il partito di Gino Strada". Si trattava solo della risposta ad una necessità della società italiana di un no alla guerra senza se e senza ma. Un no alla guerra, fatto di tante piccole realtà, che ha organizzato fiaccolate in oltre 270 realtà italiane lo scorso 10 dicembre. Non un'unica marcia in una grande città, ma tante piccole testimonianze unisone, nella più totale censura da parte dei mezzi di comunicazione di massa.
Emergency l'ha fatto grazie ai gruppi di volontari locali, per raggiungere l'altro obiettivo fissato nello statuto dell’organizzazione: diffusione di una cultura di pace. "Ci sentiamo effettivamente una voce fuori dal coro, quando tutti dicono che la guerra è necessaria". Per Gino Strada l’unico modo per uscire dalla spirale della guerra è il rispetto di un testo che esiste e che è stato emanato dall’Assemblea delle Nazioni Unite, si tratta della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Può sembrare banale, ma per quelli di Emergency che ne hanno viste tante, la ragione fondamentale delle guerre, delle disuguaglianze e delle ingiustizie del mondo è la mancata realizzazione dei diritti umani. Non si tratta di un attaccamento ideologico che esprime una posizione di estremismo di sinistra, la dichiarazione non è stata creata semplicemente come ricetta per lenire le ferite della seconda guerra mondiale: la costruzione dei diritti umani è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace.
"Il nostro obiettivo futuro – riprende Strada – è la costruzione dei diritti umani, e proprio su questo stiamo orientando la nostra attività nei paesi in cui operiamo". Il diritto alla vita, quello alla salute e all’istruzione, e poi anche quello all’acqua, non riconosciuto nella Dichiarazione anche se sta diventando la nuova tragedia nei Paesi in via di sviluppo.
Emergency sta trattando con il governo afgano affinché nelle scuole costruite dall’organizzazione, senza entrare nel merito dei loro programmi scolastici, si possa introdurre l’educazione alla pace. Il progetto, però, in termini pratici non è facilissimo da realizzare, anche se il governo accettasse la nostra proposta: è necessario che un occidentale esperto in materia conosca il farsi, la lingua locale, e che venga in Afganistan ad insegnarlo.
L’organizzazione si sta attivando anche in altri progetti sociali come quello sulle vedove e le donne afgane, e quello sull’assistenza ai prigionieri: "Il presupposto essenziale per il rispetto dei diritti umani è che questi si possano applicare a tutti, compresi quelli che sono stati riconosciuti terroristi da un tribunale internazionale legale, come prevede la Dichiarazione, cosa che non è mai accaduta".
Nel momento stesso in cui si fanno delle differenze, infatti, gli sbandierati diritti umani non sono più tali, e l’ingiustizia scatena la molla della violenza che chiama altra violenza, dell’odio e dello spirito revanscista che portano a nuove guerre. "C’è un legame tra diritti umani, giustizia, strategia di pace e prevenzione dei conflitti. Se l’Italia partecipasse alla guerra in Iraq, sarebbe la quarta volta in poco più di 10 anni, e sempre in aperta violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana, per questo abbiamo lanciato la campagna "Fuori l’Italia dalla guerra" insieme ad altri gruppi italiani".
Si tratta della promozione di una legge di iniziativa popolare per il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione italiana che esprime il ripudio della guerra. Se questa legge venisse discussa in Parlamento e approvata, non ci sarebbe nessuna possibilità per il nostro Paese di entrare in guerra, neppure attraverso l’Onu, salvo che in caso di attacco al territorio italiano. E’ necessario raccogliere 100 mila firme in sei mesi, fino a giugno dato che la campagna è partita a gennaio 2003, anche se il numero minimo necessario è 50 mila.
Anche in Iraq la presenza di Emergency è forte: ci sono due ospedali, tre centri di riabilitazione e 25 posti di pronto soccorso in attività, quindi sarà possibile reggere l’impatto dei primi attacchi. Si sta discutendo la proposta fatta dall’organizzazione italiana al governo iracheno di aprire un centro chirurgico a Bagdad. "Abbiamo dato la nostra piena disponibilità all’Iraq, con la chiarezza che andare a Bagdad – precisa Gino – non vuol dire sposare la causa di Saddam".
Le parole di Gino Strada e della moglie Teresa sono l’unico suono percepibile nella piccola sala conferenze dell’associazione quando si parla della volontà statunitense di fare la guerra e del perché di questa guerra: "Siamo stati a novembre negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze universitarie, la popolazione americana non ha cognizione dello stato reale delle cose".
Il popolo americano è bombardato dai messaggi di tutti i media sulla guerra al terrorismo e su un presunto imminente attacco all’America da parte dell’Iraq. Secondo i sondaggi della Cnn il 13% degli statunitensi non sa dove si trova l’Iraq sul mappamondo, moltissimi non sanno che l’Iraq è l’unico paese produttore di petrolio fuori dall’Opec, e questo vuol dire che chi ne controlla il territorio ha la possibilità di controllare anche il prezzo mondiale del petrolio. Gli americani hanno dichiarato che la loro necessità di risorse energetiche aumenterà del 60% nei prossimi 15 anni, e quindi dovrà aumentare l’importazione di petrolio, le cui riserve si trovano in Iraq e nelle repubbliche centro-asiatiche come Uzbekistan, Kazakistan, ecc. In America, per gli studenti di Università come Harvard è novità ciò che per i nostri ragazzi delle scuole medie è risaputo. (Elisa Virgillito)