SOMMARIO                                 

Città vivibili e sostenibili

Intervista a Miro Virili

UN VOLUME DI QUASI QUATTROCENTO PAGINE, CURATO DA MIRO VIRILI E DANIELA
RICCI
, RACCOGLIE GLI ATTI DI UN CONVEGNO INTERNAZIONALE TENUTOSI A TODI NEL
MAGGIO 2000 PER PRESENTARE I RISULTATI DI UNO STUDIO DI LEGAMBIENTE TERNI E DEL
G.A.L. MEDIA VALLE DEL TEVERE. NE PARLIAMO CON MIRO VIRILI, UNO DEGLI AUTORI
DELLO STUDIO E DEI CURATORI DEL VOLUME.

Il volume è il capitolo finale del lavoro che abbiamo fatto come Legambiente di Terni per le "Città vivibili e
sostenibili", che era uno studio fatto con il Comitato scientifico di Legambiente Umbria per conto del Gal della
Media Valle del Tevere, e partiva da quello che era stata per la città di Todi il discorso del prof. Levine
dell’Università del Kentucky che l’aveva dichiarata la città più sostenibile del mondo. Prendendo spunto da
questo, il Gal voleva rilanciare il tema della sostenibilità sia di Todi che del territorio promovendo uno studio
che avesse come obiettivo la messa a punto di una serie di indicatori per misurare la sostenibilità di questi territori;
 ne è nato uno studio ci circa un anno e mezzo che si è concluso con un convegno internazionale a cui ha
partecipato lo stesso prof. Levine insieme ad altri studiosi e ricercatori sia europei che americani. Il primo giorno
si è tratta il tema dello sviluppo sostenibile in generale, il secondo giorno si è affrontato insieme agli enti locali il
tema della sostenibilità in Umbria: partire cioè dai programmi di Agenda 21 a livello europeo e internazionale per
arrivare alle realtà locali del nostro territorio. Rispetto al tema della sostenibilità nelle grandi città che ormai è
abbastanza studiato e noto, era affrontato per la prima volta in maniera approfondita la sostenibilità in territori che
sono già sostenibili, i piccoli centri come Todi ma anche, e questa era la vera novità, i piccoli comuni e le frazioni,
non solo le città.

In che senso i piccoli centri sono insostenibili?

L’innovazione che avevamo individuato era che l’insostenibilità non è solo il sovraffollamento delle grandi città,
il traffico o l’inquinamento, ma è anche lo spopolamento della montagna e dei piccoli centri, perché se vengono
abbandonati si abbandona un territorio dove si è vissuto e abitato per secoli: i piccoli centri non sono più vivibili
non per l’inquinamento ma per altre ragioni di carattere economico-sociale. Quello che si sta perdendo è il
rapporto con il territorio, che caratterizzava le città. L’elemento che noi sostenevamo con forza era che la città di
Todi, e le città come Todi di cui è piena l’Umbria, non sono solo le città dentro le mura, ma è un sistema
territoriale che storicamente ha legato i centri storici cosiddetti minori, che sono le frazioni e gli antichi castelli,
con le zone agricole e il sistema delle case coloniche che dalla sistemazione agricola del Cinque-Seicento fino
ai giorni nostri sono rimasti sempre integrati: era il sistema città, una rete fitta e capillare di insediamenti che si
articolava sul territorio. Oggi si perde questa continuità; e mentre la città continua ad essere più o meno sostenibile,
 pur con molti problemi.

Che cosa comporta lo smagliarsi di questa rete, del sistema città-territorio?

Noi abbiamo messo a fuoco non solo l’aspetto economico, ma anche l’aspetto culturale; avevamo previsto ad
esempio degli indicatori del tipo: quante persone del quartiere si conoscono per nome? Quanti nomi di luogo si
conoscono: il nome del colle, del fiume. Questo può far sorridere uno che viene da Milano, che non sa come si
chiama quello che abita sullo stesso pianerottolo e a malapena conosce il nome del sindaco, ma in queste realtà è
 il modo per capire quanto una persona è radicata a quel territorio e a quella cultura e quindi quanto è sostenibile
il territorio. Quindi, pur partendo da Todi, il nostro discorso era fatto sulle città dell’Umbria, sul policentrismo
della regione.

Questo dà anche una indicazione forte di prospettiva.

Infatti: noi eravamo contrari allo slogan della "città-regione", e a nostra volta lanciavamo uno slogan diverso,
come "una regione di città, comuni e comunità": un policentrismo ramificato, che non si concentrasse solo sul
bipolarismo umbro tra Terni e Perugia, o un accentramento regionale, a scapito del policentrismo che
storicamente ha caratterizzato la struttura amministrativa dello Stato pontificio, pur con tutti i suoi difetti, ma che
era radicato sul territorio e che invece si va oggi perdendo: città come Spoleto, Nocera, Norcia, ecc., stanno
perdendo il loro ruolo territoriale con la perdita dei servizi, la posta, la scuola, il tribunale, che per noi sono
indicatori importanti di sostenibilità nei piccoli centri. L’altra novità importante del nostro lavoro era che non
davamo soltanto indicatori di analisi, ma anche indicatori che misurassero la risposta. Il primo indicatore si
indicatore segnalava se ci si allontanava dalla sostenibilità: in questo caso avevamo un indicatore di risposta per
valutare come l’ente rispondesse a questa tendenza. Rispetto ai vecchi sistemi di vedere la sostenibilità solo da un
punto di vista strettamente ambientale, noi aggiungevamo l’aspetto culturale e sociale. Ad esempio, rispetto ad un
problema di traffico o di volumi edilizi si andava a vedere come veniva affrontato con nuovi strumenti urbanistici;
 per un problema di rifiuti solidi si andava a vedere come rispondeva il comune.

La sostenibilità riconnette dunque elementi storici, culturali, sociali ed economici.

Ci siamo riallacciasti al dibattito sull’Umbria, per capire se esiste o no una identità della regione: abbiamo fatto
una lettura storica dall’antichità ad oggi per cercare di leggere questa identità, ed abbiamo proposto un modello
culturale che si contrapponeva a quello della città-regione. La vera identità dell’Umbria sta nella differenza, nella
particolarità delle tante identità regionali. Il vero rischio dell’insostenibilità, a parte alcune conurbazioni lineari
attorno alla E45 o sui raccordi autostradali, era proprio l’abbandono della montagna e dei piccoli centri e la loro
perdita di identità.

Questa è anche una indicazione nei confronti dei neo-centralismi regionali.

L’indicazione forte è appunto quella di rilanciare il policentrismo, che è cosa diversa dal decentramento.

E’ anche una risposta alla presunta razionalità dell’accentramento dei servizi.

Si, qualche volta, mantenere un ufficio postale, o una sezione scolastica anche sottodimensionata, può essere
 importante per conservare l’identità ad un centro di montagna: anche se può sembrare non razionale; però
l’abbandono della montagna provoca dei dissesti che poi costano molto più di una sezione scolastica.
I dissesti idrogeologici provocati dall’acqua, dalle piogge, sono sempre più frequenti, ma si dimentica che un
intero sistema idraulico che una volta era curatissimo è oggi abbandonato e l’abbandono di questa cultura sta
portando a questa situazione. Si sta perdendo una cultura vera, senza virgolette: questo forse è inevitabile;
c’erano anche dei costi umani troppo alti, e quindi non si può pensare a tornare indietro, ma si può cercare di
costruire un equilibrio a partire da quella cultura.

In particolare, nella cultura locale ci sono attività economiche rifunzionalizzabili.

Certo: i prodotti locali agricoli e artigianali sono il vero modo di rispondere alla crisi economica e al mercato
globale. Non si può fare concorrenza alle grandi produzioni globali, ma l’olio della mia zona è unico, ed è qui che
si vince. L’economia locale quindi può dare la sostenibilità economica, più che fabbriche grandi aziende.
Ma su questo occorre una maturazione culturale che parta dal rispetto della cultura locale. Ad esempio,
al momento di istituire i parchi, l’idea del parco era osteggiata da larghi strati che vedevano minacciati gli usi civici,
i funghi, non solo la caccia, i diritti antichi su un territorio che gli apparteneva: dove invece si è riuscito ad instaurare
 un dialogo, e la gente ha capito i vantaggi, la stessa agricoltura biologica che all’inizio era prospettata come un
 nemico, è andata avanti da sola e si è estesa a macchia d’olio anche fuori dai parchi perché lì si poteva essere
competitivi solamente con un prodotto di qualità.

 

 

In libreria:

Il volume Città vivibili e sostenibili, Atti del Convegno internazionale, a cura di Miro Virili e Daniela Ricci,
 può esser richiesto a Legambiente, Circolo di Terni, Piazza della Pace 42.

Sul policentrismo umbro si possono vedere i volumetti della collana "Umbria Italia Europa", come: Raffaele Rossi,
Una regione di città
, Thyrus, Terni 1997; Renzo Zuccherini, Umbria: una regione debole?, Thyrus, Terni 1996.