Per tramandà le cose nco ‘l parlàe Claudio Spinelli poeta perugino Intervista a Stefano Miccolis, Walter Pilini e Renzo Zuccherini NEL DICEMBRE 2002 È SCOMPARSO CLAUDIO SPINELLI, PERSONAGGIO DI SPICCO DELLA VITA DEMOCRATICA UMBRA, SINDACALISTA, ESPONENTE STORICO DEL PARTITO REPUBBLICANO: QUI PERÒ LO VOGLIAMO RICORDARE INNANZITUTTO PER LA SUA INTENSA E APPASSIONATA ATTIVITÀ DI POETA DIALETTALE, CHE HA LASCIATO A PERUGIA E ALL’UMBRIA UN’EREDITÀ CULTURALE DI PRIMO LIVELLO. NE PARLIAMO CON STEFANO MICCOLIS, WALTER PILINI, FRANCO BOZZI E RENZO ZUCCHERINI: STEFANO MICCOLIS È AUTORE DELLE INTRODUZIONI A VARI VOLUMI, TRA CUI IL PRIMO, "’L FÒCO ‘N TOL CAMINO", DEL 1980, E LA SCELTA "’L MÈJ’ DEL MÈJO" DEL 1996; FRANCO BOZZI HA INTRODOTTO "’N QUARTO PER PORTA", DEL 1989 (ALTRI PREFATORI SONO STATI FRANCO MANCINI E ANTONIO CARLO PONTI); WALTER PILINI E RENZO ZUCCHERINI SONO STATI FIGURE DI RIFERIMENTO DELLA ASSOCIAZIONE E DELLA RIVISTA "IL BARTOCCIO", CUI COLLABORÒ LO STESSO SPINELLI. ZUCCHERINI È ANCHE AUTORE DEI VOLUMI "GLI ANNI DEL BARTOCCIO" E "LA POESIA DIALETTALE IN UMBRIA". 1) La recente scomparsa di Claudio Spinelli, facendo sentire il grande vuoto che ha lasciato, potrebbe sollecitare l’organizzazione di un convegno sulle opere dialettali di Spinelli e sulla contemporanea letteratura perugina in dialetto? 2) Prendendo in considerazione il binomio dialetto-teatro, si potrebbe accostare alla poetica di Spinelli l’elogio del dialetto che fa Dario Fo nel "Manuale minimo dell’attore"? (Il dialetto non lo impari a scuola. Le cadenze e i respiri, le parole, le costruzioni grammaticali sono autentiche, non c’è niente di costruito. Io uso questo metodo: quando mi imbatto in attori che stonano e cantano con suoni artificiali, li alleno a pensare la composizione delle frasi, i ritmi, nella forma del proprio dialetto nativo. E vi assicura che funziona subito…) 3) Si può parlare di una speciale popolarità di Spinelli? (Evaristo Righi) Stefano Miccolis 1) Personalmente io non credo molto ai convegni, che sono appuntamenti ‘obbligati’, nei quali è in genere difficile assistere a valutazioni autenticamente meditate e approfondite. Ma se un convegno fosse lo strumento più realistico per invitare a una riflessione sulla figura e la produzione poetica di Claudio Spinelli, sarebbe opportuno promuoverlo. 2) I dialetti non differiscono dalle lingue nazionali che per il più limitato ambito territoriale della loro utenza e comprensione. Anch’essi sono codici linguistici, che consentono a una comunità di parlanti di stabilire tra loro una comunicazione soddisfacente ed efficace. Non è affatto sorprendente, quindi, che non valgano soltanto a rispondere alle esigenze della vita quotidiana, ma consentano anche di dare forma compiuta all’espressione poetica e più ampiamente letteraria. Con esiti qualitativi, certamente, non scontati - come del resto avviene per quanti, in questi campi, si avvalgono delle lingue nazionali. L’esercizio della scrittura non è di per sé garanzia di qualità (artistica, filosofica, storiografica, scientifica, ecc.); la stessa efficacia comunicativa orale differisce da parlante a parlante. Claudio Spinelli aveva una padronanza non comune del dialetto perugino (era la sua lingua nativa, quella che gli aveva consentito di conoscere la realtà fin dalla prima infanzia), e una esigenza autentica di comunicare il suo mondo immaginario; per questo, forse, è riuscito ad esprimersi in forma efficace, raggiungendo livelli di qualità poetica talvolta notevoli. 3) Chiunque abbia assistito ai funerali di Claudio Spinelli non può non essere rimasto colpito dalla partecipazione intensa e corale, ben più ampia della pur numerosa cerchia di amici e conoscenti. Era presente una consistente fetta di cittadinanza (dunque ‘di popolo’), che evidentemente avvertiva il vuoto lasciato nel proprio vissuto dalla sua morte. E questo accade solo quando si vede nella persona scomparsa l’interprete di valori comuni, avvertiti come proprî e irrinunciabili. La "popolarità" di Spinelli era radicata nel suo attaccamento profondo alla città natia, e nella speciale capacità di esprimere alcuni valori (cioè, le cose "che valgono") di una comunità che non ha smarrito il suo antico senso civico.
Renzo Zuccherini 1)Più che una domanda, questa mi sembra una proposta, soprattutto per rilanciare una riflessione sulla nostra poesia dialettale, che oggi sembra in fase di attesa, quasi di silenzio, anche per l’assenza di nuovi autori, ormai da diversi anni. 2) Certo, di Spinelli ci mancherà l’oralità, la capacità di "dire" i suoi versi: una istintiva capacità di teatralizzare i suoi testi, di stabilire un dialogo con l’ascoltatore chiamato a farsi interlocutore del poeta. Ricordo in particolare le sue pause: quelle interruzioni nella lettura che creavano attesa e insieme consentivano di chiudere il corto circuito con gli ascoltatori attraverso lo sguardo. E Spinelli ha usato praticamente sempre l’endecasillabo, il ritmo metrico che più di tutti asseconda la naturale prosodia perugina, la sua tendenza riflessiva e "preparatoria" rispetto allo scioglimento della rima, e dei sentimenti. I suoi testi, invece, non sono dialogici, salvo nelle poesie aneddotiche, in cui le battute di dialogo marcano l’arguzia popolare; generalmente, però, Spinelli preferisce il monologo espressivo, in cui ha modo di dare spessore al suo modo di vedere il mondo, o alla sua memoria. 3) Quando parliamo di Spinelli dobbiamo intendere la popolarità in tutti i suoi significati: perché Spinelli è popolare nel senso che è stato un autore di larghissimo successo, e la sua poesia è penetrata a fondo in tutti gli strati della popolazione; è popolare perché riesce a trovare gli elementi di comune umanità, ad esprimere i sentimenti di base in cui si riconosce la gente; ed è infine popolare perché è legato alla cultura del suo popolo, della gente dei borghi perugini di ieri e di oggi. Il suo borgo, quello rievocato nei suoi versi, e cioè quello del tempo dell’infanzia e della memoria, era il popolare quartiere di Porsusanna; ma nel tempo in cui scriveva, cioè gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, il borgo era ormai costituito dalla estesa, informe periferia cittadina, in cui i Perugini si sono dispersi e in cui hanno ritrovato una nuova "popolarità", fatta di memoria e di trasformazione, di legami col passato e di incontri con nuove culture. Spinelli ha saputo esprimere anche questo: dietro, o attraverso, l’apparente nostalgia per l’infanzia e la gioventù si coglie una capacità di sentire la contemporaneità, di vivere la vita del "popolo" di oggi. E Spinelli infatti gioca, con la sua ironia leggera, ad ammiccare ai difetti incorreggibili dei Perugini di ieri e di oggi, facendone un bonario vessillo di identificazione: si pensi alla "musoneria" perugina, così ben rappresentata da Spinelli nella sua capacità di sentire profondamente gli affetti e i legami senza tuttavia ostentarli, ed anzi rifugiandosi dietro una reticenza, un ritegno, che serve benissimo a scherzarci su. Ma dietro la vena scherzosa, appaiono i grandi temi umani e civili che appassionarono Spinelli: la città fatta dai cittadini, la sua storia democratica, l’amore, e soprattutto le figure della sua formazione: il padre innanzitutto, e poi i "maestri", come Guglielmo Miliocchi. Infine, la popolarità di Spinelli è legata alla scelta di un dialetto urbano che certo si rifà al dialetto di cinquanta o sessanta anni fa, ma si è rivelato molto adatto alle esigenze comunicative di oggi, a cominciare dal modo di parlare di quelle periferie di cui dicevo prima e che sono oggi i nuovi quartieri popolari. Franco Bozzi 1) Per le sue molteplici esperienze di sindacalista, politico repubblicano, uomo delle istituzioni, Spinelli fu tutto meno che un provinciale dalle vedute limitate, ristretto nella sua "piccola patria" e chiuso ai venti del mondo. Il dialetto, in lui, può venarsi di rimpianto e nostalgia (del resto, senza che si debba esser poeti, sono le sensazioni che proviamo tutti noi - quando gli anni avanzano - per le persone, le cose, le abitudini della nostra verde età). Ma il dialetto è anche e soprattutto apertura: e mi piace qui ricordare che io, non perugino, conobbi il peruginissimo Claudio durante la preparazione della prima Marcia della Pace, in casa di quell’Aldo Capitini che insegnò, a me come a lui, il concetto di apertura quale cardine di una religiosità laica. Non solo perciò plaudo al progetto del convegno, ma auspico - ove fosse possibile - un’iniziativa ancora più ambiziosa, che metta a raffronto il recupero del vernacolo locale con altre e diverse espressioni, allo scopo di interpretare il bisogno di riappropriarsi di una lingua perduta non come fuga nel passato ma come segno di modernità. 2) Che vi sia un’intrinseca teatralità nella poesia di Spinelli, che questa anzi derivi "per li rami" dalla lauda drammatica perugina, io ho sostenuto, credo per primo, sorprendendo lo stesso autore, che mi disse di non aver mai pensato ad una simile lettura, e meditandoci sopra vi si riconobbe. Delle forme poi attraverso le quali tale teatralità si manifesta ho trattato nella prefazione ad uno dei suoi volumi più riusciti, "’n quarto per porta": esse vanno dalla trascrizione popolaresca della Bibbia, a certi dialoghetti epigrammatici con cadenze da contrasti medioevali. Qui aggiungo il convincimento che la poesia di Claudio, per essere gustata appieno, vada - più che letta - parlata, recitata, cantata. E’ la drammatizzazione che permette di cogliere le sfumature tonali (l’ironia, l’umorismo, il ritrattino del personaggio mutuato dalla satira latina, la tristezza presaga della fine che si avverte pressoché in ogni riga dell’ultima raccolta). E non c’è dubbio che il dialetto, così drammatizzato, permette di ottenere risultati - attraverso parole buffe e desuete, modi di dire idiomatici e gergali, frase conclusiva o battuta ad effetto - che molto più difficilmente si raggiungerebbero seguendo i canali stilistici di una lingua paludata e accademica. 3) Spinelli era già assai noto, per i molteplici e importanti ruoli pubblici ricoperti, prima che si cimentasse con quello che nel tempo della maturità divenne il suo terreno d’elezione, cioè appunto la poesia nel dialetto nativo. Ci ha lasciato otto volumi e un’antologia che coprono un arco temporale di ventidue anni. Nei suoi versi ha saputo far rivivere le figure di coloro che hanno fatto la storia della città, come il sindaco Rocchi, e che ne hanno rappresentato la coscienza critica come il maestro Miliocchi (e non è ovviamente obbligatorio condividerne sempre il giudizio: io stesso ebbi con lui un’amichevole polemica sulla marchesa Florenzi), assieme ad indimenticabili medaglioni che raffigurano un loggionista impertinente, un lavorante maldestro, un cicerone improvvisato. Una sera, in una recita all’anfiteatro del Parco di Sant’Angelo (che un’oculata politica di promozione culturale ha oggi ridotto a parcheggio per i mezzi militari del vicino Distretto), io lo presentai come "il poeta della vecchia e della nuova Perugia". Ecco, io penso che questa capacità di congiungere il vecchio col nuovo, su uno scenario di permanenze e di trasformazioni, sia la cifra più autentica della sua popolarità.
Walter Pilini Vorremmo un tuo ricordo di Claudio Spinelli. Il ricordo più vivo è quello legato al giorno della sua venuta a Chiugiana per incontrare bambine e bambini della mia quinta classe, il 26 gennaio 2001. E' stata una mattinata passata insieme, Spinelli ha letto amabilmente alcune sue poesie, e proseguita con una piacevole e interessante conversazione che, partendo dalla poesia, da letture di libri e da visioni di film fatte in classe insieme, è arrivata ai temi delle diversità e dei rapporti tra varie culture. Al momento del congedo, Claudio è andato alla lavagna e ha scritto questo distico: " Sò contento, sò beato oggi ho ùto, più che dato! " E' stato il felice e per noi gratificante suggello di un incontro che, se ce ne fosse stato ulteriore bisogno, mi ha confermato la sua straordinaria umanità e disponibilità all'ascolto, particolarmente significativo stavolta per me insegnante, perché dimostrata nei confronti dei più piccoli.
In una recensione per l'uscita della raccolta " 'L sapor del tempo", apparsa nel periodico "Umbria d'oggi" (n.1, febbraio 1988) ho definito Spinelli "poeta della peruginità", un concetto - dicevo allora - forse inesprimibile compiutamente sul piano verbale, trattandosi di qualcosa che si sente dentro: in prima approssimazione possiamo però pensare a ciò che accomuna i perugini, al di là delle differenze ideologiche, generazionali, sociali e culturali. In altre parole Spinelli è colui che interpreta la sensibilità ed il comune sentire di un'intera città e se ne fa testimone e custode, perché l'identità cittadina, costruita in secoli di storia, non vada perduta, anzi, vada consapevolmente conosciuta per vivere in maniera non subalterna un'epoca di rapide e continue trasformazioni. E le sue poesie sono prima di tutto una precisa documentazione di una città, della sua storia e della sua cultura nelle sue varie articolazioni.
Quanto allo Spinelli poeta - ometto deliberatamente l'aggettivo "dialettale" perché sarebbe riduttivo -, al di là degli innegabili meriti linguistici, che ritengo siano quelli di chi ha contribuito a rafforzare la dignità della lingua locale perugina, ce ne sono, e parecchi, di artistici. La sua personalissima capacità di padronanza del mezzo espressivo, unita ad una sensibilità non comune, hanno prodotto un corpus poetico unitario, che spazia tra un ampio ventaglio di tematiche, con esiti sempre pregevoli, grazie ad una straordinaria umanità unita ad una sottile vena di ironia e di disincanto che si riscontra in tutte le sue produzioni. L'auspicio è che presto sia l'opera di Spinelli, sia l'intero panorama della produzione poetica in dialetto perugino contemporaneo possano essere oggetto di analisi e riflessioni, e non solo a livello accademico, cosa peraltro già avvenuta di recente con una tesi di laurea sulla sua produzione letteraria assegnata dal professor Giovanni Moretti a Giovanna Sambucini e brillantemente discussa.
Te guardo ‘n tra ch’ dorme stamatina nco ‘l sole che te fa rosa la pelle: ride nnocente come ‘na fiolina ch’ sogna chissà quant’ cose belle. Te guard’ e fò pianino, ch’altrimente te svéje e te va via ‘st’aria serena pulita come l’acqua de ‘n torrente apena ch’è scappato de la vena. Te guard’ e so’ felice, perché sento che ‘st’espressione tua cussì rreale ‘nn è solo l’illusione de ‘n momento, ché for’ e dentro tu se’ fatta uguale.
Per tramandà le cose nco ‘l parlàe ‘l dialetto perugin è fatt’a posta. Sarà ‘n po’ lèmm’ lèmme ‘n tol callàe ma ‘nn è ‘na cantilena che te scosta: ndua che ‘na cosa, quan che tu l’è ditta, t’armane mejo che si fusse scritta. È ‘na parlata vecchia che ciariva da lontano ‘n bompò. Tempo d’alora, ‘n tra ‘l latino bastardo che muriva e ‘l volgare ch’a stento ‘niva fora, forèst’co, aguzzo, contadino è nato ‘sto dialetto perugino. Claudio Spinelli, nato a Perugia il 12 giugno 1930 e scomparso il dicembre 2002, ha pubblicato:
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