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A colloquio con tu-tutti
La poesia di Aldo Capitini
Intervista a Patrizia Sargentini
Aldo Capitini, come noto, fu anche poeta:
attraverso la poesia, infatti, ha filtrato le immagini
e i sentimenti più intensi della sua concezione morale e sociale, quasi a
tentare una nuova via
per aprirsi alla comprensione del lettore. Nei suoi versi troviamo perciò
le valenze morali e di
invito a nuove forme di solidarietà e di impegno dal basso che discendono
dalla sua
concezione religiosa del rapporto aperto con il tu-tutti, una religione di
compresenza che vuol
superare ogni esclusione. Adesso Pastrizia
Sargentini, insegnante presso l’Itas "Giordano
Bruno" di Perugia, ha raccolto e studiato la sua produzione poetica
nel volume Aldo Capitini
poeta, pubblicato nel 2001 dalle edizioni Guerra
di Perugia. Le chiediamo di parlarci di
questo suo lavoro.
Parlare del mio studio sulla produzione
poetica edita di Aldo Capitini richiede necessariamente
il riferimento alla complessità ed alla profonda coerenza di una persona
che ha saputo integrare,
nel suo messaggio e nella sua testimonianza di vita, vari ambiti del
pensiero e dell’agire umano:
quello filosofico, ma anche quello pedagogico-morale, laico-religioso,
sociale, politico e letterario.
Quindi il mio saggio propone una interpretazione della poetica di
Capitini nello stretto nesso tra
tematiche e soluzioni strutturali e linguistico-stilistiche e nell’innesto
sulla vicenda storica, culturale
e letteraria della metà del Novecento. Si tratta appunto di una
interpretazione e di un primo sforzo
di comprensione organica del pensiero poetico dell’autore. Uno dei
pregi del volume è la
riedizione quasi completa delle liriche, dal giovanile esordio Terrena
sede del 1928, ai Sette canti
del ’31, agli Atti della presenza aperta del ’43 fino al Colloquio
corale del ’56, ormai non più
accessibili. Ecco allora che la lettura e l’analisi critico-letteraria
si schiudono insieme alla fruizione
del lettore per restituire un aspetto non secondario della personalità di
Capitini, grande comunicato
re e "profetico" interprete della contemporaneità. Inoltre è
stata ricostruita l’evoluzione culturale,
insieme alle frequentazioni letterarie, attraverso fotografie in gran
parte inedite, che testimoniano
il suo legame con Perugia, con l’Umbria delle cittadine medievali e dei
luoghi francescani, ed
infine del convergere della migliore tradizione nonviolenta occidentale ed
orientale nella Marcia
della Pace, da Francesco d’Assisi a Martin Luther King, da Gandhi a don
Lorenzo Milani.
Qual è stato l’itinerario che l’ha
portata ad indagare la poesia di Capitini?
Ho sempre creduto nella possibilità di
ognuno di disegnare la propria vita nell’integralità delle
proprie scelte e testimonianze, com’è nella condizione del cittadino,
la cui dimensione di custode
di una coscienza individuale si compie, giunge cioè alla
"liberazione", come direbbe Capitini,
solo nella socialità, in un atteggiamento anti-individualistico di
costante tensione alla
compartecipazione.
I Cos (Centri di orientamento sociale) ed i Cor (Centri di orientamento
religioso), sono in fondo
una anticipazione capitiniana dell’ampia fortuna, nell’ultimo
decennio, dell’associazionismo dal
"basso" su problematiche urgenti e complesse, da affrontare nel
dialogo e nella condivisione.
E’ oggi necessario, però, ciò che Capitini auspicava per i Cos ed i
Cor: l’aggancio del dibattito
e dell’impegno dei tanti, i "tutti", sui temi sociale e sulle
decisioni politiche locali e nazionali,
perché la democrazia possa diventare "omnicrazia", il potere di
tutti. C’è inoltre un aspetto
che mi ha colpito in Capitini: la sua capacità nell’ultima raccolta, Colloquio
corale, di tradurre
in un buon equilibrio tematico ed estetico, i risultati della sua ormai
avanzata riflessione: il cuore
della riflessione capitiniana, ovvero la realizzazione, nell’atto, del
rapporto io-tu-tutti, si traduce
sul piano poetico nella scelta di una poesia corale, capace di
compenetrare fiolosofia, religione
e vocazione alla socialità. Si tratta in fondo della riproposizione
moderna e novecentesca della
Lauda umbra, che è appunta lirica corale: dal Cantico delle Creature
alle laudi jacoponiche, e
soprattutto alle sacre rappresentazioni. Quella di Colloquio corale
è, secondo Capitini, una
poesia "liturgica", che riesce a "celebrare la presenza di
tutti", "perché scende a chiamare tutti,
come soggetti, nell’eternità".
Che rapporto c’è tra questo suo lavoro e
l’esperienza di insegnante di lettere?
Il nesso è strettissimo: come docente,
credo che sia necessario offrire ai giovani una
comprensione della realtà improntata a razionalità, equilibrio, spirito
critico, e capace di senso
storico e di uno sguardo aperto al contributo che apportano le tradizioni
culturali occidentale
ed orientale, del nord e del sud del mondo. Credo, inoltre, che il
"cuore" (in termini capitiniani)
e la sensibilità del docente debbano esercitarsi nel tentativo di
spiegare le aberrazioni e assurdità
di tante realtà contemporanee nella "serenità" che può venire
dalla proposta di chiavi di lettura
non disgiunte da possibili soluzioni: una ricerca-azione per un nuovo
umanesimo, l’unico capace
di realizzare per il futuro un vero progresso e non un semplice sviluppo,
come lasciava
intravedere la sottile distinzione di Pasolini.
Pur tu cara mi sei, terrena sede,
per l’inesausta copia onde la stanca
mente ravvivi, e d’ogni picciol cosa
brilla fresca speranza al cuor deluso.
Se m’aggrava il pensar, lascio le mura,
vagando vo per le campagne adorne
d’alberi agresti e di fronzute siepi:
miro l’umile verde, i queti campi,
i prati ove giocai e udii dei bovi
candidi il muglio nelle fiere estive,
colli velati da gentili olivi,
la bianca nube che si bea e s’apre
a meridiana fiamma, la scaldata
zolla sul ciglio dell’erboso greppo,
il fiore tremulo al vento leggero:
ogni cosa innocente è come bimba
che canti in coro di compagne al sole.
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