SOMMARIO                              

Cari amici e colleghi,

le prime riflessioni sul vertice di Johannesburg che è stato il tema della Fiera delle Utopie Concrete 2002 "Dopo
Johannesburg: Strategie locali per lo sviluppo sostenibile e un mondo migliiore". L'iniziativa si è svolta dal 10 al
13 di ottobre a Città di Castello. Il testo è del tutto soggettivo e non pretende di fornire un'immagine comprensiva
 neanche delle iniziative menzionate.

Un caro saluto, Karl-Ludwig Schibel

 

Note dal vertice di Johannesburg
Karl-Ludwig Schibel
AGENZIA UTOPIE CONCRETE, CITTÀ DI CASTELLO
Parto nel buio fitto scendendo dalla colline umbre. Roma dorme ancora, quando imbocco il raccordo annullare.
Arrivo alla cinque e mezza all'aeroporto di Fiumicino per il volo per Zurigo en route per Johannesburg.
Sul volo il lusso dei giornali, di poter sfogliare testate italiane, svizzere, la "Herald Tribune", "Wall Street Journal"?
Tutti parlano di Johannesburg e questo sicuramente è un buon segno. Anche se gli articoli sono più che prevedibili.
 "Il sole 24 ore" spiega ai suoi lettori che cosa è la sostenibilità e il "Wall Street Journal" si lamenta in un articolo,
"Eco-nomics and Johannesburg", che tutti guardano male gli Stati Uniti - il che è vero - per poi lanciare una grande
accusa: quale spreco sarà questo summit, ricordando che i 51 milioni di dollari che costerà "non farà mangiare
nessuno al di fuori delle sale di conferenza". Il che fa capire che l'autore, pur scrivendo per il giornale economico
più famoso al mondo, non capisce un tubo dell'economia.

        A Zurigo all'imbarco per Jo'burgo l'80% dei passeggeri sono in viaggio per il vertice. Tutti vestiti bene, poche
donne. Anche la composizione della delegazione italiana per la conferenza dei governi locali è dolorosamente
prevedibile: i Comuni italiani dell'AG21, come Roma, Ferrara, Modena, Venezia, la Provincia di Bologna il Comune
e la Provincia di Torino, più il Comune di Lecco, qualche Comune piccolo del Salernitano e pochi altri. Sottolineerà
nella sua relazione Giuseppe Gamba, assessore all'ambiente della Provincia di Torino, che in Italia sono 600 i
Comuni che hanno aderito all'Agenda 21. Temo che più della metà degli assessori colleghi di Gamba avrebbero
qualche problema se dovessero spiegare le attività del loro ente a favore di uno sviluppo sostenibile.

        Il tassista all'aeroporto di Johannesburg si diverte del fatto che non voglio cedere la mia valigia. Ha ragione, ho
paura di questa città che compete con poche altre nel mondo per il primo posto per la criminalità nelle strade.
Guardando i cartelli giganteschi che ci danno il benvenuto per il Summit da parte di tutte le banche e le grandi imprese
 di questo paese, uno si accorge subito che una intera città si è organizzata per accogliere quest'evento.

        Il giorno dopo al centro per il congresso basta un piccolo rallentamento dei passi e subito uno dei settemila tra
ragazze e ragazzi di servizio chiedono in che cosa possono essere utili. E per la registrazione, infatti, sanno dirigere
le masse e dopo pochi minuti mi ritrovo con il badge, la tessera intorno a collo.

        È l'ultimo momento chiaro di questa conferenza, perché dopo si capisce presto che ci sono solo livelli diversi di
disorientamento. La prima giornata passa per individuare i luoghi dell'evento: Sandton, dove si svolge il Summit
ufficiale, Nasrec, dove si svolge quello del Forum Sociale, Ubuntu, dove i governi nazionali, le associazioni e le città
sono in mostra e organizzano dibattiti ed incontri; il WWF ed altri si sono stabiliti all'Indaba, un albergo sull'altro lato
della strada dell’Hilton, mentre pochi metri più su, al Crowne Plaza, si svolge la riunione degli enti locali, la Local
Government Session
. Le iniziative meno benestanti come Oilwatch o il Third World Network ricevono aiuto dalla
chiese e tengono le riunioni ai centri religiosi come il Liban Centre, al St. Stithians College invece si svolge un
workshop continuo sulla globalizzazione, la lotta alla povertà, lo sviluppo sostenibile... Una miriade di iniziative.

Tutti si spostano due, tre volte al giorno con le navette da un luogo all'altro e dopo pochi minuti di chiacchierata
presentano un volantino, un dépliant, qualche opuscolo, sono venuti per dare visibilità alla propria iniziativa, per fare
contatti, per trovare sostegno e sponsor e per incoraggiarsi reciprocamente. Incontro Kalia Moldogazieva del
Human Development Center
in Kyrgystan che è impegnata in programmi di educazione per la salute e prometto
che inoltrerò le sue richieste per finanziamenti, se me le manda. Delphine Kemneloum Djiraïbé è avvocato nel Tchad
per l'associazione per la promozione e la  difesa dei diritti umani e la assicuro che non sarà un problema diffondere i
oro comunicati stampa in Italia. Sottolineo a Magalì Rey Rosa del Colectivo Madreselva in Guatemala che il nuovo
ncaricato delle Nazioni Unite nel suo paese, un verde tedesco, è bravo e capirà subito. E’ difficile, di fronte ai
racconti di miseria, ingiustizia e persecuzione, non pensare a qualche sostegno che si potrebbe e si dovrebbe dare.
Ben consapevole che ritornando in Europa non sarà facile mantenere le promesse.

        Quando arrivo al padiglione della fondazione dei verdi tedeschi, Heinrich Böll, manifestano nella piazza davanti
pescatori sudafricani contro l'invasione dei loro territori di pesca e per i loro diritti a una livelihood. Sono in
sessanta-ottanta da vari gruppi. La piazza è semi-deserta. Cantano, ballano, sventolano i loro cartelli e i loro
striscioni contro l'imperialismo delle grandi ditte del nord, riconfermandosi reciprocamente che la loro lotta è giusta.
Come facciamo in questi giorni in tanti e in tante occasioni, purtroppo raramente in modo così allegro.

        Nel padiglione c’è una tranquilla atmosfera di dibattito, oggi, tra Wolfgang Sachs del Wuppertal Institut,
Michael Sachs del African National Congress (l'identità dei cognomi è un puro caso) e Reinhard Loske, portavoce
ambientale dei verdi tedeschi. Un dibattito sul Jo'burg Memo, il documento scritto da un gruppo internazionale di
autori, coordinato da Wolfgang che giustamente dal quotidiano delle o.n.g. sudafricane è stato nominato la miglior
pubblicazione del vertice (si può ordinare attraverso librerie o direttamente da sermis@emi.it o attraverso www.emi.it).
Michael, nel suo intervento intenso, fa presente che lui e il movimento al quale appartiene devono riflettere molto
sull'effetto serra, la questione ambientale e come queste minacce alla base naturale della vita umana si collegano
con la loro lotta contro la povertà e la divisione nord/sud. Ma non si può non accorgersene, continua lui, che il
Memo trascura i problemi della distribuzione ineguale del potere tra Nord e Sud e in particolare il fatto che tutti
i programmi di catch-up development del passato, gli sforzi da parte dei paesi del Sud di chiudere il distacco tra
il primo e il terzo mondo, sono stati soppressi attivamente dal Nord.

        Molto diversa l'atmosfera il giorno dopo alla Local Government Session, la conferenza degli enti locali, alla
quale partecipo nella veste di membro della presidenza dell'Alleanza per il Clima delle città europee. Non c'è
 nessuno tra i seicento partecipanti che non sia convinto dell'importanza degli enti locali per portare avanti lo
sviluppo sostenibile. Il che non impedisce neanche a uno di noi di dirlo diverse volte in ogni relazione. Quando si
sente qualcosa di inaspettato è dovuto più che altro alla mancanza di padronanza della lingua inglese, come
quando un rappresentante di una rete di Comuni per l'Agenda 21 Locale ci assicura che i duecento membri
work hardly
, "non lavorano quasi per niente" per lo sviluppo sostenibile nelle loro città. Il che forse sarebbe
altrettanto ingiusto quanto voler dire che tutti lavorano duramente. Battute a parte, è fuori dubbio che la debolezza
dei risultati del vertice ufficiale rende più importante per i prossimi anni il ruolo degli enti locali per la salvaguardia
del clima e uno sviluppo sostenibile. Però, come far arrivare questo messaggio a questi centinai di Comuni in Italia
e questi migliaia che hanno aderito all'Agenda 21 Locale in Europa ma hanno fatto poco di più?

        All'incontro di Oilwatch, la rete di organizzazioni non-governative che si oppongono all'esplorazione ed
estrazione petrolifera in 50 paesi del mondo, di auto-referenzialità e di auto-compiacimento non si sente niente.
In un grande cerchio, coordinato da Esperanza Martinez, i rapporti dai vari paesi sono proprio questo: racconti
dalle prime linee della battaglia che in molti paesi sudamericani, africani e asiatici si svolge con grandi rischi per
quelli che parlano. L'esempio incoraggiante è quello della Costa Rica, primo paese che ha dichiarato ufficialmente
una moratoria illimitata sull'esplorazione ed estrazione del petrolio.

        Yin Shao Loong del Third World Network della Malaysia, guidato dall' eminente economista Martin Khor,
spiega ai presenti le faccende del Summit Ufficiale e dà un'analisi dei pro e contro dei Type 2 Commitments,
cioè dei partenariati tra organizzazioni ed imprese nei paesi ricchi e poveri. Con la debolezza degli accordi ufficiali,
 i Type 1 Commitments, appunto, quelli del tipo 2, che non richiedono negoziati, che si possono fare subito in
modo bilaterale, presumibilmente con guadagno di tutti i coinvolti, si delineano come il vero risultato di questo
Summit
. Sono in molti quelli che lamentano che le Nazioni Unite si stanno svendendo agli interessi privati, ma le
organizzazioni non-governative come il Third World Network non possono non prendere atto del fatto che nei
prossimi anni il ruolo di questi partenariati, che ormai già esistono e spesso danno buoni risultati, crescerà e la
scelta sarà di salire o perdere il treno. Anche se per domani, lunedì 2 settembre, le organizzazioni non governative
hanno annunciato di voler abbandonare la conferenza collettivamente e rinunciare a ogni partecipazione alle attività
del tipo 2. Il che sarebbe un bell’atto simbolico.

Jane Goddall presenta la Earth Charter
Con questa infinità di iniziative ci vuole coraggio ad organizzarne un'altra che non si trova neanche su uno dei
numerosi programmi che circolano. Gli organizzatori di "Celebrating the Earth Charter Vision", che si svolge nella
tenda Indaba, sempre sull'altro lato dell'Hilton, non hanno avuto questa preoccupazione. Supero controlli doppi
all'entrata e nel cortile e rimango sorpreso di una folla fitta che circonda una grande tenda piena di un ascolto
prevalentemente bianco, tra i quaranta e sessant'anni.
Quando mi siedo nella prima fila dove sempre ci sono posti liberi - non si sa per chi - parla il ministro all'ambiente
della Costa Rica, Manuel Rodriguez. L'ho già sentito più volte, la Costa Rica ambientalmente si considera la prima
della classe tra i paesi del mondo e quindi non a caso il segretariato internazionale della Earth Charter si trova lì
(www.earthcharter.org).
La Earth Charter è un documento voluto da Maurice Strong, il presidente del vertice di Rio, una dichiarazione di
tutte le buone intenzioni che si legano con nomi come Michail Gorbaciov e Steven Rockefeller. Chiede il rispetto
per la comunità della vita e l'integrità ecologica, la giustizia sociale ed economica, la democrazia, la nonviolenza e
la pace. Tutto qui. La lingua è diplomatica e, non moltissimo tempo fa, l'avrei considerato un documento liberal
tipico che chiede tutte le cose giuste senza voler far male a nessuno.
In questi giorni sono diventato più cauto, da quando sono testimone dei discorsi delle donne del nostro gruppo
che all'interno del Women's Caucus si battano per inserire nel paragrafo della dichiarazione politica del Summit,
cioè nel documento finale di questo vertice, due concetti: "libertà" e "diritti umani". Il che sembra piuttosto innocuo.
Invece devono fare i conti con un gruppo consistente che si oppone. Gli avversari sono - indoviniamo un po' - la
Santa Sede, gli Stati Uniti e i paesi fondamentalisti islamici. Il vaticano e la delegazione americana, sotto pressione
dai protestanti fondamentalisti, non vogliono sentire di libertà delle donne perché potrebbe essere letto
(giustamente) come appoggio all'aborto. Per i paesi islamici la libertà dell'individuo e i diritti umani fanno parte
della minaccia di occidentalizzazione da rifiutare tout cours. Strane alleanze.

In una tale situazione si legge bene il paragrafo della Earth Charter che si riferisce alle donne: " Afferma
l'uguaglianza fra i sessi e la giustizia come essenziali per lo sviluppo sostenibile, garantisce l'accesso universale
all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alle opportunità economiche. Garantendo i diritti umani delle donne e
ponendo fine a ogni forma di violenza nei loro confronti. Promuovendo la partecipazione attiva delle donne in
tutti gli aspetti della vita economica, sociale, politica e culturale in qualità di interlocutrici, persone che prendono
decisioni, leader, beneficiarie con pari diritti."

Dopo il ministro prende la parola Jane Goodall, la studiosa dei primati più famosa al mondo, che ha cambiato le
nostre idee sui primati, le loro personalità, forme di comunicazione, uso di strumenti, osservando per decenni gli
scimpanzé in Tanzania. Al tempo, nei primi anni Sessanta, i colleghi erano scandalizzati da questa giovane donna
inglese che senza titolo accademico scriveva di Mike  e Nancy , cioè di queste scimmie come persone, quando
tutti gli studi seri attribuivano agli animali osservati dei numeri.
E, infatti, la Goodall parte con la battuta "Per una che ha dedicato la maggior parte della sua vita studiando gli
scimpanzé lo trovo strano di essere qui". Sempre una battuta è, perché questa donna che sembra così fragile,
dirige una rete internazionale immensa tra i vari Istituti. Jane Goodall e i suoi programmi, Roots and Shoots
(www.janegoodall.org) coordinano in settanta paesi le più varie attività a favore dell'ambiente di circa 4000
gruppi di giovani. "Il nome - radici e germogli - è simbolico", continua Jane Goodall. "Le radici e i germogli di una
pianta possono penetrare muri di cemento. Noi abbiamo poteri immensi, noi delle società ricche che siamo anche
 la causa per la parte del leone dei danni ambientali. Non possiamo chiedere a coloro che vivono in povertà e
ignoranza di preoccuparsi dello stato del mondo, ma, certamente possiamo farlo a tutti noi che siamo riuniti in
questa tenda". Insiste sul potere di ognuno di noi, sul pericolo più grande che è l'apatia e cita i tanti esempi
 incoraggianti di progresso. "Le tecnologie non bastano - dobbiamo anche metterci il nostro cuore." Brava,
Jane Goodall. Mi ricorda quando studiavo con Margret Mead, che, anche lei donna forte, insisteva che basta un
 piccolo gruppo per cambiare il mondo. Anzi, è la sola cosa che può cambiare il mondo.
Non sono sicuro che sia vero, però mi sembra un contrappeso importante in un'atmosfera dove quasi tutti sanno
spiegare molto bene perché l'inattività o l'ostruzionismo di altri purtroppo gli impedisce di agire.

Fare il turista nella miseria delle townships
Diversi capi di stato, portavoce di ONG e altri relatori non si stancano di sottolineare che il tema più grande della
conferenza, la povertà, si trova proprio sotto i nostri occhi. Le ONG spesso lo fanno con un tono accusatorio,
chiedendo ai delegati quante aragoste hanno mangiato oggi, pagate con soldi pubblici mentre, a poche centinaia
di metri di distanza, nelle townships di Alessandra la gente ha fame.
Non so se questa demagogia rende più tranquilli quelli che parlano e che dopo dimostrano un sano appetito,
magari con un'insalata greca e un bicchiere di vino bianco a pranzo. A quelli che girano a stomaco vuoto non
importa se noi, i ricchi, ci abbuffiamo con Fast Food o con gamberoni in salsa di champagne.
Anzi. Abbiamo appena finito un pranzo ai margini di Jo'burg dove siamo finiti in un Kentucky Fried Chicken,
l'unico ristorante aperto alle quattro del pomeriggio. Siamo seduti su un terrazzo elevato. Gli altri sono andati al
bagno e rimango per un attimo solo a tavola. Noto un cartello che ammonisce "No hawking". Hawk sarebbe un
falco, ma il significato mi sfugge fin quando mi si avvicina un gruppo di quattro magri ragazzi neri di sette o otto
anni. Guardano intensamente le patate fritte che si trovano in abbondanza sulla nostra tavola. Mi sento a profondo
disagio quando gli porgo le buste di junk food che loro sono più che felici di prendere. Partono con i nostri avanzi
dovuti a considerazioni di peso e colesterolo e quando giriamo l'angolo pochi momenti dopo, li troviamo sul
marciapiedi divorando quello che potrebbe essere il loro primo pasto della giornata.
So che ci vorrebbe poco tempo per abituarmi a questa scena. L'insopportabilità dell'esistente cederebbe a una
falsa normalità della quale le ONG, con il loro atteggiamento accusatorio, fanno parte tanto quanto i delegati
sovrappeso dei paesi poveri e quelli dei paesi ricchi che con una dieta rigorosa e le visite in palestra mantengono
con grande disciplina una forma magra e snella, la stessa dimostrata da questi ragazzi che fanno sparire in poco
tempo due pacchi di patatine fritte.

Le carriere degli ex militanti contro l'apartheid
Nei tempi dell'apartheid era semplice, mi spiega Russell Ally ex membro della Commissione per la Verità e la
Riconciliazione che molti in Italia ricordano come ospite della Fiera delle Utopie Concrete del 1997, quando
parlava di "Ascoltare il nemico" (www.utopieconcrete.it ). "C'erano i bianchi oppressori e c'eravamo noi che
lottavamo per l'abolizione dell'apartheid. Da quando abbiamo vinto il tutto è diventato molto più confuso.
Oggi da nero educato in Sud Africa non puoi non fare carriera. Le grandi imprese continuano ad essere nelle
mani delle multinazionali, ma sul luogo le facce che rappresentano l'azienda sono scure. Gli enti pubblici, le
amministrazioni, le università, ne abbiamo ventuno, le imprese multinazionali, ? tutti avevano bisogno dopo il crollo
del vecchio regime di mettere nelle posizioni direzionali qualche persona nera. Così uno dei miei amici combattenti
è il responsabile per la vendita della Mercedes sudafricana, un altro è nella direzione di una banca e altri ancora
occupano alte posizioni nell'amministrazione."
"E come si sentono loro", chiedo, "girando nelle loro grandi BMW mentre le sorelle e i fratelli vivono nella miseria
delle townships?" "Quando Mandela stava per uscire dalla prigione", ricorda Ally, "gli operai della Mercedes
sudafricana gli hanno costruito nel loro tempo libero la macchina più grande che al tempo usciva dai loro
stabilimenti. Volevano vedere il loro leader girare nell'automobile più bella che gli potevano far avere". Faccio
 l'osservazione che non mi sembrano sullo stesso livello la simbolica figura storica di Nelson Mandela e il piccolo
gruppo di politici, imprenditori, executive officers, funzionari neri che sventolano la loro nuova ricchezza con tale
impunità.
"Vedi", continua Ally, "il loro punto di riferimento non sono le sorelle e i fratelli nei townships ma l'omologo,
spesso bianco, sull'altro lato del corridoio, al piano superiore o nella ditta di concorrenza. Le razionalizzazioni sul
perché vada bene la loro nuova fortuna accanto alla miseria degli altri, sono infinite. - Perché dovrei accettare un
compenso inferiore a quello che prendono altri, magari bianchi, nella mia posizione? Prima devo essere a posto io,
 per poi poter aiutare la mia comunità - e via dicendo. Ho imparato di essere non-judgemental, di non giudicare.
O taci o sei senza amici.

"Il vertice è fallito"

Combattere la propria debolezza con dichiarazioni megalomani
Gi unici che ci rassicurano in continuo che tutto vada bene sono i delegati USA. Sono contenti, i risultati sono
 positivi, loro daranno il loro contributo per risolvere i problemi, etc.
Sono bravi, loro, perché è più che ovvio che trattative e accordi multilaterali non possono essere nel loro interesse.
Il più forte preferisce trattative bilaterali che sempre o quasi vanno al suo favore. Ma, il più forte deve anche
insistere che tutto va bene, anzi in modo splendido.
Sull'altro lato dello spettro si trovano i mass media e le ONG "Il vertice sta per fallire" mi salutano la mattina,
durante la trasferta nel pullman vigilato dall'albergo al centro congressi, i cartelli stradali del "Star" il più grande
quotidiano di Johannesburg e poco dopo leggo la dichiarazione stampa di una grande ONG italiana "il vertice di
Johannesburg è fallito". Chi lo dice? Tu chi sei per decretare il successo o il fallimento di un tale mega evento,
complesso e variegato, che nessuno riesce a seguire neanche nelle sue grandi linee?
Si presenta il sospetto che queste valutazioni negative massimaliste non hanno tanto a che vedere con l'andamento
delle cose, ma piuttosto con un tentativo disperato di celare la sensazione della propria debolezza e irrilevanza
con un grido di allarme o una notizia catastrofica. L'autore del messaggio cerca di far riflettere l'importanza di
quest'ultimo su se stesso.
È infatti difficile accettare di fronte a un evento così imponente l'insignificanza dei propri sforzi. Siamo in una
conferenza per quattro giorni come enti locali. Sono più o meno 600 comuni di tutto il mondo, "Local action
moves the world" è lo slogan. Esce una bella dichiarazione finale che viene consegnata al vertice ufficiale
sottolineando l'importanza degli enti locali per lo sviluppo sostenibile.

I giorni dopo rimango impressionato dalla tenacia con la quale alcuni sindaci fanno il pressing con la propria
delegazione nazionale per far inserire nella dichiarazione politica finale la formula di cinque parole sul "ruolo
centrale delle amministrazioni locali", dei local governments. Fallimento clamoroso. Mentre nelle varie bozze si
ritrova ancora più volte la formula, tanto generica quanto insignificante, di dover promuovere lo sviluppo sostenibile
"a livello internazionale, nazionale, regionale e locale", nella versione finale si parla solo genericamente di doversi
attivare "a tutti livelli".
Non so se Johannesburg è stato un successo o un fallimento, dubito se la domanda posta in questi termini abbia
un senso. Sono però convinto che l'indice accusatorio puntato sulle delegazioni governative e il summit ufficiale
è pura demagogia. Che differenza farà la formula semantica esatta della dichiarazione finale di Johannesburg per il
nostro lavoro a favore di uno sviluppo locale sostenibile dei prossimi mesi o anni? Oltre a prestarsi più o meno
bene come citazione negli studi e discorsi sulla sostenibilità? Questi non mancano e mi sembra che il problema non
sono le ricerche, le dichiarazioni e le soluzioni proposte, ma piuttosto che queste soluzioni non trovano i pensieri e i
cuori dei cittadini.
Lo sviluppo sostenibile non trova l'interesse, figuriamoci l'appoggio di gruppi consistenti all'interno dei partiti, dei
sindacati, delle fabbriche, dei governi, delle amministrazioni o nelle delegazioni governative che viaggiano ai vari
summit delle Nazioni Unite. Qui c'è da lavorare molto e Johannesburg è stato un incoraggiamento per agire, un
punto di ripartenza. Niente di più. Siamo al Johannesburg più zero.
Almeno ho capito così Kofi Annan quando diceva davanti al Social World Summit di non sottovalutare il nostro
potere e la nostra influenza concludendo: Arise and Act.

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Dr. Karl-Ludwig Schibel         Practical Utopias Agency
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