SOMMARIO

Le Stanze piene della memoria                             


Intervista a Rina Gatti

RINA GATTI È NATA A TORGIANO NEL 1923 IN UNA NUMEROSA FAMIGLIA DI CONTADINI. HA FREQUENTATO
LA SCUOLA FINO ALLA QUINTA ELEMENTARE. HA VISSUTO UNA VITA DIFFICILE, DI SACRIFICI, FINCHÉ, A
SESSANT’ANNI, GIUNTA ALL’ETÀ DELLA PENSIONE ATTRAVERSO LA SCRITTURA RIPERCORRE, IN UN LUNGO
 VIAGGIO INTERIORE, LE TAPPE DELLA SUA ESISTENZA FINO ALLA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO "STANZE VUOTE",
SUBITO DIVENTATO UN SUCCESSO.
HO INCONTRATO RINA UNA MATTINA DI FINE AGOSTO. MI HA DATO APPUNTAMENTO ALLE OTTO: "FAREMO
PRESTO
- HA DETTO - CHÉ DOPO PORTO IL MIO NIPOTINO LORENZO AL PARCO, SAPESSI, OGNI GIORNO È
UNA SCOPERTA
". COMINCIAMO A PARLARE, VORREI CHIEDERLE CHE COSA L’HA SPINTA, A SESSANT’ANNI,
A SCRIVERE RACCONTI E POESIE, MA RINA COMINCIA SUBITO, DA SOLA, A NARRARE DEL SUO RAPPORTO CON
LO SCRIVERE INIZIATO MOLTO TEMPO PRIMA.

Io in italiano sono sempre stata brava, anche la mia mamma lo era. Quand’ero ragazzina, in quei tempi si scriveva: c’era la
guerra, se c’era un parente non è come adesso che si fanno le telefonate, le lettere si scrivevano sempre. Con tutti i soldati
che abbiamo avuto noialtri, pacchi di lettere! Per tutta la guerra è stato un continuo scrivere perché io avevo la zia che aveva
quattro figli in guerra e non sapeva scrivere né lei né suo marito. Aveva anche una cognata, non era tanto vecchia, aveva il
marito in guerra e non sapeva scrivere neanche lei, io e la mia mamma scrivevamo per loro. C’erano anche dei vicini che ci
dicevano: - Dai, tu che sei brava, scrive tal mi fijo. La passione per la scrittura ce l’ho avuta sempre e la conoscevano anche
gli altri. Finita la guerra le cose son cambiate un po’, io ho preso marito e ho azzeccato un po’… non ho azzeccato tanto
bene… e non ho più avuto il tempo né di pensare né di scrivere. E‘ passato tutto quel tempo, tanti disagi, so’ arrivata a
cinquantacinque anni che ero tutta storpia perché ho fatto i lavori più pesanti, non solo in campagna ma anche dopo, lasciata
la terra, allora nelle case tutti i lavori erano pesanti; ho sofferto molto, e lo scrivere è rimasto da una parte. Dopo i figli sono
cresciuti, hanno cominciato a lavorare e io sono andata in pensione. Un’estate mia sorella mi disse di andare al mare insieme
 a lei. Io avevo cinquantacinque anni, non c’ero stata mai al mare. Andammo in un ostello per la gioventù, aiutavamo a lavare i
 piatti. Io uscivo presto la mattina e facevo un grande giro. A Santa Marinella, sotto Roma, c’era un castello bellissimo, io
 facevo questo giro e vedevo tante cose belle: i giovani, i bambini vicino ai giovani che stavano mezzi nudi giù per l’acqua e
sono rimasta quasi scioccata, a quell’età! Ma io non c’ero mai stata, i giornali non si leggevano, avevo sentito che la gente
prendeva il sole ma era una realtà nuova per me e non mi rendevo conto. Allora ho cominciato a chiedermi: "Madonna mia,
dove sono stata fino ad ora? Stavo in fondo ad un tunnel oppure vivo due volte?" Mi sembrava di vivere una seconda vita
perché era una vita completamente rovesciata da come l’avevo vissuta io fino ad allora. Così uno di quei giorni andai allo
spaccio e comprai un quaderno. E’ stato così che cominciai a scrivere, per poter fermare quello che provavo, non per
pubblicare, ma per lasciare qualcosa alla gioventù di oggi. Prima ho scritto poesie: la mattina a bon’ora quando s’alzava il
sole, le onde del mare, gli uccelli… Dopo ho pensato: "Adesso io voglio provare a scrivere come se facessi un viaggio nel
passato", e ho cominciato a raccontare la mia vita dai miei quattro anni. Volevo vedere se mi ricordavo, e la penna andava da
 sola.

Ho ricordato tutte le minime cose di dentro casa, di quand’ero piccolina. Era come se nella testa avessi avuto qualcuno che
mi dettava, mi mettevo seduta per scrivere una cosa e ne usciva un’altra e un’altra ancora perché cominciare a scrivere è
come cominciare a mangiare: quando cominci, se le cose te le senti dentro escono dalla penna. Io scrivo quello che sento,
quello che ho patito e l’atmosfera che sento intorno. Per me scrivere è stata una soddisfazione perché ho potuto far presente
il nostro passato, e io penso che il passato è anche futuro, senza passato non c’è futuro, guarda le piante: c’erano dei
cipressi che avevano piantato, erano alti, forti ma l’avevano piantati in superficie, appena è venuta la neve sono caduti.
L’avevano piantati a galla a galla e invece delle radici avevano come una cipolla, finché tutto è andato bene si levavano alti, e
poi? Giù! Così sono i giovani, si son trovati con tutto il benessere, non hanno avuto, come abbiamo avuto noi, il tempo di
imparare dai nonni, dai bisnonni. Si son trovati così e non hanno avuto il tempo d’impiantarsi. Anche per questo, per loro, ho
cominciato a scrivere questo ritorno al passato.

E’ così che è nato "Stanze vuote", il suo primo libro?

Sì. Tornata dal mare ho seguitato e, pian piano l’ho scritto, ma mica c’ho messo tanto. Quando mio figlio l’ha letto ha
detto: - Adesso lo copio sul computer e gli faccio fare una copertina in tipografia, non si possono lasciare qua e là questi
scritti, non possono rimanere così, sui quaderni". Così l’hanno letti in tanti e alla fine l’ha letto anche Maria Teresa Marziali
dell’Associazione Generazioni. E’ lei che l’ha fatto leggere a Zuccherini che si occupa della cultura umbra, così sono arrivata
 all’editore che l’ha pubblicato. Finito il libro io ho seguitato a scrivere, ho fatto i diari di quattro anni, quest’anno non ho scritto
 il mio diario ma quello di Lorenzo, mio nipote, che ha un anno. Ho scritto anche sui fatti della politica e della cronaca.

So che sta lavorando anche ad un secondo libro.

Sì, il primo libro è finito con l’inizio della guerra, in questo riparto da quel momento; parlo del matrimonio, ma insieme alle
cose della mia vita parlo dei fatti della guerra, delle cose più importanti, quelle che arrivavano a noi; allora non avevamo la
 radio né leggevamo il giornale, sapevamo quello che raccontavano gli altri o che vivevamo. Parlo poi del cambiamento del
mondo, perché dopo la guerra il mondo è cambiato: l’andar via da contadino, la città, le leggi, tutti che volevano andare in
 fabbrica, dalla terra alla città.

Che impressione le fa avere in mano questo suo libro?

"Non mi sembra vero, ogni tanto lo rileggo, è un’emozione grande, ma è stato anche uno scaricarmi, uno sfogo e il secondo
 libro ancora di più perché da ragazza bisognava stare sempre zitta, e anche dopo le donne sempre zitte, bisognava lavorare,
prepararsi a prendere marito e sempre zitta: allora è come se prima avessi accumulato e finalmente mi sono liberata quello
che avevo dentro, che non avevo mai detto a nessuno, mi sono sentita meglio. Lo scrivere è stato per me una gran compagnia
, la penna è stata per me l’unica amica. Tutte le sofferenze che ho sopportato non ho avuto mai nessuno a cui raccontarle,
nemmeno a mia sorella. Era come se mi vergognassi a parlare, perché ce l’avevano messa dentro questa vergogna: "le cose
di casa non le deve sapere nessuno", ci dicevano. E così io tutte quelle cose le avevo tenute dentro, e quando ho potuto
sfogarmi mi sono sentita liberata.

E’ quasi mezzogiorno, questa mattina Lorenzo non è andato al parco: questa mattina con la nonna la scoperta l’ho fatta io.