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Toccare una pietra…
Il Comitato per la tutela della valle del Menotre
Intervista a don Giuliano Pastori e a Giuliano
Mattioli
INIZIAMO UNA CALDA CONVERSAZIONE FRA I TIEPIDI E UN PO’
SCOLORITI RAGGI DI UN
POMERIGGIO DI OTTOBRE CON DON GIULIANO PASTORI E GIULIANO MATTIOLI,
SEDUTI
INTORNO AD UN TAVOLINO FUORI DAL CONTAINER CHE OSPITA LA MOSTRA DI ARTE
CONTEMPORANEA DI SCOPOLI. DON GIULIANO CI RACCONTA LA STORIA DEL COMITATO
PER LA VALLE DEL MENOTRE CHE DA ANNI SI BATTE PER LA TUTELA DI QUESTO LUOGO
DOVE L’IMPRONTA DELL’UOMO HA CANCELLATO, MODIFICATO E INCISO FINO A
SCALZARE LONTANE RADICI. MA IL COMITATO CI CREDE ANCORA E OGGI SI BATTE
CONTRO L’IPOTESI DI COSTRUZIONE DI UN NUOVO TRATTO STRADALE CHE
STRAVOLGEREBBE L’EQUILIBRIO NATURALE E PAESAGGISTICO DI QUESTO ANGOLO CHE
PARLA COSÌ SOMMESSAMENTE DA RESTARE POCO PIÙ CHE INASCOLTATO.
Il comitato è nato 20 anni fa, forse 25, intorno ai
problemi del fiume Menotre, che ormai stentiamo a chiamare
fiume, piuttosto mi viene in mente l’immagine di un misero fosso. Quarant’anni
fa era un vero fiume, con una
portata 1500 litri d’acqua: ma già la costruzione dell’acquedotto
Rasiglia-Montefalco ha ridotto la portata di
300 litri; oggi contiamo una, due… ben cinque centraline idroelettriche e
il risultato è che nel fiume l’acqua non
c’è mai, tranne nel caso di qualche piccola piena; e questo è stato un
grande motivo di scontro, all’epoca del
sindaco di Gubbio Goracci, quando hanno ridato a Rasiglia e Serrone la
concessione per due centraline e per
1.800.000 lire l’anno hanno svenduto il fiume; ci erano stati promessi dei
misuratori di portata perché almeno
200 litri d’acqua rimanessero nel fiume; dovevano poi seguire dei
controlli che non ci sono mai stati…
E’ stato chiuso un occhio e anche due…
Sì, basta guardare il fiume e la risposta è lì. I
fatti che si sono verificati in questi anni dimostrano che, più di tutto
il resto, contano i soldi dei "signori", neri, bianchi o rossi che
siano; e questa logica protegge il vantaggio di pochi
a discapito di tutta la comunità. Quest’anno, vista la situazione idrica,
hanno sospeso tutte le concessioni irrigue
ed è stata scritta una lettera alla Regione per chiedere una sospensione
delle concessioni idroelettriche in modo
che la poca acqua disponibile venisse convogliata al fiume. Siamo ancora in
attesa di una risposta, dall’alto nessun
segnale… gli interessi privati… bè, almeno un tempo queste centraline
servivano per l’illuminazione delle case
della zona e mandavano gli opifici, o almeno qualcuno lavorava nelle
centraline; adesso nemmeno questo, perché
le centrali sono gestite da privati che vendono all’Enel e la cosa non
riguarda più la comunità.
Giuliano Mattioli: A questo discorso si lega
il discorso dello sfruttamento delle energie alternative, che è
interessante ed auspicabile; però non sempre quello che sembra alternativo
ed eco-compatibile in realtà lo è.
In soldoni, è chiaro che l’idroelettrico è una grande opportunità, ma
è anche vero che non sempre e non
dappertutto il discorso delle energie alternative funziona. Faccio un
esempio: se ha un senso sfruttare il salto della
Cascata delle Marmore per la centrale di Papigno per 40 o 50 metri cubi d’acqua
che fanno un salto di 160 metri,
abbiamo testato che non ha senso sfruttare i 400 o 600 litri su una
realtà di bacino come quella del Menotre,
perché la produzione di energia elettrica è relativa, direi irrilevante,
se non per colui che la produce e ci guadagna,
ma per il territorio è un danno perché noi abbiamo sette chilometri di
fiume totalmente asciutti.
E allora occorre una valutazione comparativa: è più il guadagno dell’energia
elettrica prodotta o il danno provocato
prosciugando il fiume? In realtà così piccole questa soluzione non
funziona perché crea più disagio che beneficio.
Il problema della disattenzione per questo patrimonio
naturale si ripropone in questi giorni.
Oggi a preoccuparvi sono le possibili conseguenze della costruzione di nuovi
tratti stradali in
questa zona. Ce ne parli un po’.
Don Giuliano Pastori: Le notizie che stanno
arrivando a questo proposito sono pessime, mi sembra.
Sembra che le istituzioni stiano dando o abbiano già dato il loro sì.
Secondo una legge obiettivo del Governo,
questa sarebbe una delle "grandi opere"… In verità da
più di quindici anni si parla di questa strada e di progetti ne
abbiamo visti e schivati già molti. Ci eravamo illusi qualche anno fa
quando la Regione, in collaborazione con
l’Anas, aveva studiato un progetto per cui questa era considerata una
strada panoramica di montagna che andava
ammodernata ma senza interventi invasivi, un intervento sensato e di impatto
minimo. Per quanto minima, certo,
anche la costruzione della galleria a Casenove ha devastato un chilometro di
vallata: qui la vallata è larga
300 - 400 metri e basta poco per distruggerla. Con una provocazione, subito
dopo il terremoto ho proposto al
Sindaco di dare ad ogni famiglia 500 milioni di vecchie lire per costruire
la propria casa altrove, così la valle
rimarrebbe libera per costruire anche un’autostrada ad otto corsie… Qui
non è possibile costruire senza
cambiare irrimediabilmente il volto della valle. Tornando a noi, ora sembra
che il nuovo progetto preveda dei
viadotti da Colpersico fino alla corta di Colle San Lorenzo; poi lì
partirebbe una galleria che uscirebbe o tra Pale
e Ponte Santa Lucia o tra Pale e Scopoli. Poi dalla casa cantoniera di
Scopoli la strada entrerebbe in galleria per
uscire sui piani di Ricciano o addirittura dopo Colfiorito. Questo mette
paura.
Quindi voi lanciate un grido di allarme per il forte
impatto ambientale di un intervento di questo tipo
su una valle così stretta.
Giuliano Mattioli: La minaccia c’è. Da anni
faccio parte di un’associazione, Gaia: siamo promotori di attività
all’aria aperta e soprattutto sport legati ad ambienti acquatici, come la
canoa o il kayak. Va da sé che questo tipo
di attività entra in collisione con i progetti prima citati; non è solo
per questo, si potrebbe pensare che io mi
muovo solo perché viene a mancare l’ambiente in cui opero mentre per me
è un discorso che va oltre la semplice
attività lavorativa; ma a maggior ragione, per un certo tipo di attività l’incompatibilità
è grande, paradossalmente
in una regione come la nostra che fa di tutto meno che valorizzare questo
nostro ambiente unico, nel senso
naturalistico e paesaggistico, in cui l’uomo vive da centinaia di anni in
condizioni particolari e in totale simbiosi con
il contesto ambientale. Qui toccare una pietra è toccare qualche centinaio
di anni di storia. Assistiamo alla crescita
di zone industriali in piccoli paesi di montagna di due o trecento abitanti:
ammesso e non concesso che questi inse
diamenti industriali siano opportuni, dall’altra parte non si vede nessuna
operazione di valorizzazione del territorio
e dell’ambiente. C’è una sorta di schizofrenia perché a parole le
istituzioni dichiarano la loro volontà di tutelare la
risorsa ambiente e dall’altra, per opportunità politica o per necessità
contingenti, operano in direzione contraria.
Tutte cose che capisce chi è in alto, dentro la logica del potere: ma qui,
in basso, non le capiamo…
In molte occasioni i politici ci hanno assecondato, "mai più il
Menotre si toccherà", però poi le scelte sono un po’
diverse dalle parole. Quindi registriamo una grande difficoltà a
relazionarci anche con le istituzioni.
Toccare una pietra è toccare cento anni di storia.
Quando impareremo ad ascoltare, forse, le pietre
saranno ormai mute. (26 ottobre 2002) (Sara Barbanera)
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