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Pubblica, laica, interculturale, autonoma
La scuola di tutte e di tutti
Intervista a Diana Cesarin
INSEGNANTE, ANIMATRICE DELLA "SCUOLA INTERCULTURALE DI
FORMAZIONE", MEMBRO
DELLA SEGRETERIA NAZIONALE DEL MOVIMENTO DI COOPERAZIONE EDUCATIVA (MCE),
DIANA CESARIN HA LAVORATO PER MOLTI ANNI A PERUGIA: E QUI LA INCONTRIAMO IN
OCCASIONE DI UN MOMENTO ORGANIZZATIVO DEL PROSSIMO SEMINARIO CHE MCE E
LEGAMBIENTE SCUOLA E FORMAZIONE STANNO PREPARANDO PER IL 14 E 15 NOVEMBRE.
COMINCIAMO A PARLARE DI QUESTA INIZIATIVA.
Mce e Legambiente Scuola e Formazione stanno organizzando a
Perugia due importanti momenti di riflessione
intorno alla scuola ed all’educazione oggi, quando i grandi processi, la
globalizzazione, le minacce di guerra,
chiamano la scuola e la società ad interrogarsi sul ruolo dell’educazione
e su quali saperi siano necessari per il
presente e per il futuro. L’educazione è sempre stata un terreno che si
è mosso sulla base delle grandi sfide
rispetto al futuro; e questo avviene in un momento in cui la scuola
italiana, anche per le politiche del governo, vive
un momento difficilissimo di crisi, che chiama a interrogarsi su una
questione fondamentale: è ancora in grado la
scuola, e il sistema formativo nel suo complesso, di operare in modo
coerente con il dettato costituzionale che
prevede la rimozione degli ostacoli che impediscono lo sviluppo della
personalità…? Ovvero, è capace di
garantire il diritto all’istruzione e all’apprendimento per tutti e per
ciascuno?
Le politiche di riforma del governo però, per quanto
confuse, vanno esattamente in senso contrario.
Da questo viene una grande preoccupazione: mi sembra che dal
governo venga un disegno di riforma, o
controriforma che non va affatto nelle grandi direzioni che dicevo prima.
Questo disegno è piuttosto la traduzione dell’ideologia
liberista all’interno del sistema educativo.
Io sono colpita da alcuni aspetti. Il primo riguarda i
saperi, i curricoli e/o i piani di studio. Nelle bozze di
rinnovamento dei programmi della scuola "materna" ed elementare si
parla di piani di studio personalizzati, vale a
dire che deve essere garantito a ciascun bambino o bambina un percorso in
base alle proprie caratteristiche,
capacità e possibilità. Non è la scuola che lo deve garantire, ma la
scuola insieme alla famiglia ed a percorsi fuori
della scuola. Questo è un cuneo attraverso cui si va a smantellare l’idea
di funzione sociale della scuola.
Nella politica scolastica del governo c’è apparentemente questa grande
valorizzazione della famiglia, ma quali
saranno le famiglie realmente contrattuali? Forse potranno essere
contrattuali solo le famiglie che potranno essere
riconosciute come clienti importanti di una scuola. Un altro aspetto: è
prevista la partecipazione della famiglia al
nucleo di valutazione. Qui c’è una confusione tra il ruolo della scuola e
quello della famiglia, che pregiudica i
processi di apprendimento. Il rapporto tra scuola e famiglia, cioè tra
adulti che hanno una responsabilità educativa
rispetto a bambini e bambine, è un dialogo da mantenere sempre aperto,
anche non esente da conflitti, ma in
questo momento, e con questo clima che sta montando, c’è un rischio serio
di perdita di ruolo da parte della
scuola.
I percorsi personalizzati esaltano l’individualismo, ma
dimenticano il valore del gruppo nella costruzione
delle conoscenze.
Esattamente, e questo è il terreno dove la confusione dei
ruoli e l’impostazione individualistica rischiano di fare i
danni peggiori. L’ipotesi di percorsi personali significa cancellare dalla
scena sociale una palestra di convivenza
civile, in cui i diversi percorsi e le diverse culture si incontrano e
imparano a convivere insieme.
E la cultura, in una società multietnica, non può che essere intercultura,
in cui si hanno significati condivisi da
persone che hanno identità e storie molto diverse. Se la scuola non crea
questa occasione, quale altra istituzione
lo può fare? Dov’è che i giovani potranno imparare a convivere
producendo qualcosa di nuovo e di positivo?
Dov’è che noi pensiamo, anche, di smussare l’irriducibilità delle
differenze?
Dietro il lavoro dell’Mce c’è un’idea di scuola
pubblica: quale significato dai a questo termine?
Per noi la scuola pubblica è esattamente la scuola in cui
si può fare questo esercizio di convivenza, e dove si
accetta il rischio dell’incontro e della contaminazione. Inoltre, non solo
scuola pubblica, ma anche scuola unitaria
nei suoi vari segmenti, contro la politica del governo che tende a
frantumare il percorso, riconferma la frattura tra
scuola materna, elementare e media, e anticipa la scelta tra istruzione e
formazione professionale e addirittura,
attraverso convenzioni con le regioni, introduce la possibilità di
completare l’obbligo scolastico nella formazione
professionale. La scuola pubblica è poi anche una scuola interculturale; e
poi diciamo laica, nel senso che non
assume né a propria finalità né a proprio punto di partenza alcun credo
religioso, come ci ha detto, anche il
Presidente Ciampi. E infine, una scuola autonoma: c’è bisogno di istituti
che sappiano costruire il proprio progetto
in modo partecipato con gli attori sociali del territorio, che non
sono solo le famiglie, ma la società nel suo
complesso, come gli enti locali, le altre agenzie educative. E’ grave che
il progetto del ministero non preveda più
la quota di curricolo destinata agli istituti: cosa rimane dell’autonomia
se i programmi vengono decisi a livello
nazionale e gli obiettivi sono "prescrittivi"?
Ma si parla anche del rischio che l’autonomia sia solo l’autonomia
dei presidi, e il federalismo si
trasformi in nuovo centralismo locale.
Certo, c’è il rischio della burocratizzazione; e in
questo momento io vedo una ripresa di protagonismo centrale,
ministeriale. Dirò una cosa impopolare: per moltissimo tempo, gli
insegnanti sono stati molto "dipendenti":
l’insegnante la mattina va a scuola e trova un edificio, delle regole,
delle funzioni, già date: la professione docente
tradizionalmente si è svolta in uno sfondo (istituzionale, ma anche
materiale) già predisposto e predeterminato.
Da questo credo che siano nate le preoccupazioni che l’autonomia
significasse nuova burocratizzazione.
Ma l’autonomia pone un intreccio molto più forte tra il livello
individuale e il livello collettivo-collegiale, tra
professionalità docente e livello di responsabilità e di
corresponsabilità. Certo non quello che prevedeva il
progetto ministeriale, di un maestro (detto al maschile, per una categoria
prevalentemente femminile) prevalente,
con altri maestri coadiutori, per fare attività di secondo piano secondo le
indicazioni del maestro tutore: così si
implementa la deresponsabilizzazione. Invece la vita di un istituto autonomo
necessita di un costante rapporto
con gli altri attori, di responsabilità condivisa all’interno della
scuola, ed anche all’esterno, per costruire una rete
condivisa di responsabilità educativa.
Puoi fare un quadro delle iniziative del Mce e della Scuola
interculturale di formazione in Umbria?
Innanzitutto, il seminario di novembre, un momento di
riflessione tra associazioni, enti locali, sindacati,
amministrazioni e istituzioni scolastiche, attorno a due nodi: l’identità
della scuola e delle scuole, e una visione
di sistema; e poi il convegno che ne seguirà a primavera sulle stesse
questioni ma in un’ottica molto più allargata,
fino alle domande sui saperi necessari all’educazione del futuro ed ai
problemi della globalizzazione, con una
modalità che vuole valorizzare e mettere in rete le esperienze di scuole
autonome. All’interno di questo quadro,
c’è anche l’iniziativa della Scuola interculturale di formazione, in
programma a maggio: si rivolge agli insegnanti ma
anche a quanti lavorano sulle situazioni di incontro e di conflitto che si
hanno quando giungono persone da luoghi
lontano; se impariamo a leggere queste situazioni, ed a gestirle in modo non
distruttivo, da esse possiamo
veramente imparare ed anche costruire pezzettini di vita e quindi di
significati condivisi.
In rete
Si può consultare il sito Mce all'indirizzo http://
www.mce-fimem.it
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