SOMMARIO

    Diventavano capaci di parlare         


Il dopoguerra e la rinascita del sindacato

Intervista a Raffaele Rossi

Io ricordo Giovanni Rosati come emblematico di tanti che, nell’immediato dopoguerra, animati
da grande passione civile, si sono impegnati a corpo morto nella vicenda politica della propria
località e poi nel sindacato, e poi sono diventati quadri intermedi, a livello provinciale, sulla base
dell’esperienza maturata nelle lotte; sto parlando di persone che non avevano un grande
patrimonio culturale nel senso scolastico: con alcuni di loro, nelle riunioni, si faticava a farli
esprimere, ed a capire quello che volevano dire, tanto era povero il linguaggio e la capacità di
espressione; però avevano passione e intelligenza, per cui si impadronivano dei concetti,
diventavano capaci di parlare, di intervenire. Queste persone diventavano così dei quadri: ci
volevano migliaia di persone per dirigere centinaia di sezioni, sindacati, cooperative…
Ecco, qui viene fuori questa grande impresa di pedagogia politica, che contiene un elemento
forse limitato dal punto di vista della democrazia, perché veniva dall’alto e c’era molto
indottrinamento; ma si doveva di necessità passare per questa fase.
Tante delle nostre riunioni erano informative, se ne facevano tutte le sere per tutti i giorni
dell’anno, era un continuo correre, senza mezzi, andando anche a piedi; io mi sono fatto tutta la
valle del Tevere a piedi, facendo tappa sezione per sezione: in queste sezioni non arrivava il
giornale, o non lo sapevano leggere, e bisognava fare il giornale dicendo quello che era successo
nella settimana.

Ma questa opera poi selezionava, ed emergevano gli elementi più intelligenti e più dotati anche di
spirito combattivo e di volontà; così si poteva scegliere, tra i mezzadri, il sindaco di Castiglion
del Lago, oppure il dirigente delle Federterra. E c’era una grande perplessità in queste scelte,
ma era il movimento che li metteva in primo piano e li faceva scegliere: non era pensabile
scegliere uno sconosciuto, ma bisognava scegliere quello che dirigeva le lotte, che si era
affermato davanti alla massa dei contadini. E Giovanni Rosati è dentro questa scelta: lui emerge
nella zona, si vede la sua tempra, e viene poi portato al sindacato e fa le sue esperienze.
Ecco, questi sono gli uomini che escono da questa stagione del dopoguerra, da quella passione
morale, politica e civile che era il loro tratto dominante. Nel 1944, con la liberazione della città,
sono i tre partiti (socialista, comunista, democristiano) che fanno il sindacato, sulla base
dell’accordo di Roma tra Di Vittorio, Grandi e Lizzadri. Una volta costituito, però, il movimento
sindacale non solo ha una sua piena autonomia, ma anzi la Camera del lavoro unitaria acquista un
peso e un ruolo tale che oltre ai sindacati di categoria, mette in piedi la cooperativa di consumo
(dove adesso stanno le Delizie): cioè la Camera del lavoro si interessa ad un arco di problemi che
copre tutte le questioni attinenti alla vita del tempo; ha un ruolo autonomo e socialmente molto
importante, specialmente davanti al pericolo della demoralizzazione e del ribellismo della massa
dei disoccupati, dei reduci che arrivavano a ondate e non trovavano niente, nemmeno da mangiare.
 Ricordo le riunioni al Pavone, con Pierucci, segretario della Camera del lavoro, dietro a un
tavolinetto, con tutto il teatro pieno di disoccupati che gridavano: bisognava dargli una speranza,
qualcosa in cui credere.

Partirono subito le lotte mezzadrili, soprattutto nella Valle del Tevere e nel Castiglionese; tanto
che gli Alleati arrestarono Mancini, comandante partigiano, perché si era messo ad agitare i
contadini; ma ricorderò, sempre intorno al Trasimeno, la battaglia di Montebuono, con i contadini
che avevano combattuto i Tedeschi: queste erano le zone avanzate, le altre zone (Foligno, Spoleto)
sono ferme. Invece poco più tardi nella zona di Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria, Bastardo,
la zona di Giovanni Rosati, parte la lotta dei minatori. Scatta infatti abbastanza presto, dopo la
guerra, la questione del ridimensionamento delle miniere di lignite, non essendoci più il blocco del
periodo fascista e delle sanzioni, il carbone comincia a tornare, i forni della Terni possono di
nuovo andare a carbone, le miniere di lignite vanno immediatamente in crisi.
Quelle di Pietrafitta e di Branca di Gubbio sono le prime che crollano, chiude quella di Collazione;
rimangono in piedi quelle di Morgnano di Spoleto e di Bastardo. E qui avviene una lotta enorme.

Io ricordo le riunioni che facevo nel corso di quella lotta drammatica; nelle assemblee dovevo
sempre dire ai minatori: "Ma ve lo volete mettere in testa che dovete cercare degli alleati?
Che in questa battaglia, dalla quale dipendono le sorti dell’economia della zona, non solo quella
delle vostre famiglie, dovete conquistare i mezzadri, anche i coltivatori diretti? Portateli qui, per i
 loro problemi e anche come interesse dell’intera economia locale, e non solo come solidarietà a
un’altra categoria". E per quanto all’inizio essi fossero molto settoriali, avvenne questa cosa
miracolosa del collegamento di tutta una zona in lotta: in tutti i comitati di agitazione, alla presidenza
 c’erano un minatore, un contadino, e il prete; ed erano anni di scomunica.
Non ci fu un parroco di uno di quei paesi che non fosse dentro il comitato di agitazione per la
difesa della miniera. Alla fine, la miniera fu ridimensionata, e più tardi chiusa, però si riuscì ad
imporre la centrale elettrica.

Questa fu una grande battaglia, e io credo che uomini come Rosati, di quella zona, sono dentro
questa esperienza fortemente unitaria, un’esperienza molto costruttiva anche dal punto di vista
della maturazione politica, nel senso che ha fatto uscire dal primitivismo politico che caratterizzava
le masse ed anche i dirigenti in Umbria, improvvisati da giovani inesperti. Se dovessi dire quali
sono state le esperienze per la mia formazione di dirigente politico, devo ricordare alcune cose di
questo tipo da cui ho imparato più che dall’aver letto molti libri, anche di Marx o Engels.
Ricordo la lotta del Castiglionese, dove quando c’era la disdetta di un contadino, di uno solo, tutti
 i contadini dei comuni del Castiglionese e del Pievese erano lì a fronteggiare i carabinieri che
venivano ad eseguire lo sfratto, davanti alla casa del contadino per far muro per cento metri, e i
carabinieri non passavano, e si riapriva la trattativa in tribunale…

Ricordo le contadine di Pozzuolo, nel 1948: il 14 luglio c’è l’attentato a Togliatti, esplode la
protesta, per tutti i paesi e le strade del Castiglionese e del Pievese c’è l’esplosione della gente.
Allora i Torini, proprietari agrari, montano sulle motociclette armati di pistole e cominciano a
fendere la folla per intimidirla; furono aggrediti, ed uno finì all’ospedale. Arrestarono delle donne,
perché erano state le donne a mettersi davanti alle motociclette. Ebbero galera e processo: quando
furono rilasciate, io andai a prenderle con la macchina della Federazione e le portai a Pozzuolo.
Qui era gremito di gente, e ci fecero parlare da un balconcino proprio di fronte al palazzo dei
proprietari. Io parlai, poi detti la parola a una delle donne, magnifiche, perché dentro al movimento
le persone diventano eccezionali; e questa donna, con un linguaggio calmo, freddo: "Ecco, sono
qui. Sono di nuovo davanti a voi!" Così cominciò: "Volevate piegarmi, volevate che tornassi a
baciarvi i piedi, a raccomandarmi? No! Sono qui con tutti i compagni!"