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Cari amici,
segue la relazione di Giuliano Vecchi, presidente del GAL Antico Frignano.
Le esperienze e le analisi di Giuliano Vecchi, impegnato da decenni nello
sviluppo
locale, mi sembrano un ottimo discorso complementare a quello di
Giuseppe de Rita.
Sono tre le idee che mi sembrano di fondamentale importanza:
Stiamo parlando di una profonda trasformazione culturale che
presuppone un
cambiamento di mentalità sul rapporto tra interesse individuale e bene
comune.
Dai soggetti che collaborano in una rete locale non ci vuole la
generosità di
sacrificare l'interesse personale a favore della comunità, però quello che
ci
vuole - ed è già un gran passo - è di capire che serve al proprio
interesse
personale di metterlo in seconda linea a breve termine a favore di un'azione
comune che alla fine lascerà più ricchi tutti quanti. Più ricchi di forza
di poter
agire in comune, di senso d'identità e molto probabilmente anche di ricavi.
La seconda condizione strutturale per far funzionare una rete locale come i
GAL è
che le amministrazioni comunali, provinciali, regionali cedano un pezzo
del
proprio potere alla rete. Come lo dimostrano anche le tante esperienze
di
Agenda 21 locale: se a queste iniziative non vengono trasferiti competenze e
mezzi finanziari per svolgere funzioni assegnate dai partners della rete
medesima,
il tutto rimane un giocattolo, nel caso migliore, e più spesso
un'esperienza che
delude e distrugge le motivazioni che ci sono sul luogo.
Una tale rete locale, non importa se sulla carta intestata si legge
"GAL", "Agenda
21" o quant'altro, poi è in grado, e questo è il terzo punto
brillante di Giuliano
Vecchi, di fare un lavoro di animazione - di cercare attivamente il
coinvolgimento
di soggetti che da sé non si farebbero avanti e che invece, attivate in una
situazione capace di futuro, possono dare un contributo prezioso allo
sviluppo
locale. I promotori, appunto, che erano il tema dei colloqui di
Montegabbione
2002.
Cordiali saluti, Karl-Ludwig Schibel
Giuliano Vecchi, presidente GAL
"Antico Frignano"
Una rivoluzione culturale per lo sviluppo locale
Tratterò il tema che mi è stato affidato: come far
cogliere ai soggetti svantaggiati le opportunità nel quadro delle
politiche di sviluppo rurale. I soggetti svantaggiati ci sono evidentemente
anche nelle comunità urbane.
Parlo sulla base delle esperienze che ho fatto da diversi anni in quello che
viene definito un laboratorio
sperimentale della Comunità Europea, più precisamente la Comunità lo
chiama "Programma pilota a carattere
dimostrativo Leader". È un’iniziativa comunitaria che trae origine
da una comunicazione della Commissione della
Comunità Europea al Consiglio e al Parlamento negli anni 80 che propose una
riflessione sul futuro del mondo
rurale. Una riflessione che si è concretizzata nel regolamento 2052 dell’88
sulla riforma dei fondi strutturali.
Si tratta di un programma sperimentale che è stato applicato in tutti i
paesi dell’Unione Europea e che ha avuto
un’influenza non secondaria nel dibattito che si è svolto nella
conferenza europea sullo sviluppo rurale del ’96 che
si è concluso con la famosa dichiarazione di Kork (?). L’obiettivo
dichiarato di questo programma era nelle parole
del commissario per l’agricoltura Fischler: "di favorire la crescita
armonica e concomitante di tutti i settori produttivi
che sia rispettosa dell’ambiente, della cultura propria e delle
singole popolazioni, fortemente ancorata alle
caratteristiche locali ma inserita in un più vasto contesto territoriale e
di mercato con la fondamentale
partecipazione dei diretti interessati". In questa definizione sono
compresi i caratteri fondamentali di questo
laboratorio, di quest’esperienza, che presuppone, per la sua corretta
applicazione, una sorta di rivoluzione
culturale sia nei pubblici poteri locali, sia negli operatori locali che
nelle loro associazioni, perché come base
fondamentale presuppone la costruzione di un partenariato pro-attivo nel
territorio in una sorta di patto di gestione
che va ben oltre la concertazione e spinge a gestire insieme risorse
pubbliche. Parliamo di un intervento pubblico
in modo coordinato fra i rappresentanti delle istituzioni nel territorio e
le realtà locali che si esprimono attraverso le
forme di partecipazione democratica, dal basso delle associazioni, dei
comitati ed altre organizzazioni.
É insita in questa proposta, in questa provocazione, della Commmunità
Europea una proposta culturale.
Da un lato i pubblici poteri tradizionali rinunciano ad una parte del loro
potere autonomo per gestirlo assieme a
queste rappresentanze della società civile ed economica, le quali a loro
volta rinunciano a perseguire dei risultati a
breve periodo nell’interesse dei propri aderenti per privilegiare l’interesse
complessivo del territorio nel quale
vedere inserito l’interesse dei loro associati. Quindi un incontro sulla
base del bene comune nel territorio fra varie
forme di rappresentanza, prendendo atto che nei territori più svantaggiati
non è stata sufficiente l’azione dei poteri
istituzionali del territorio per mettere in moto i meccanismi di uno
sviluppo adeguato.
Un nuovo strumento che parte dal basso: il partenariato
pro-attivo
Quali erano i caratteri per la messa a punto di questo
strumento organizzativo? La Commissione si proponeva di
dare vita a degli strumenti nuovi basati su questo concetto del partenariato
pubblico/privato pro-attivo e si
propone di andar anche un po’ più avanti, da alcuni schemi organizzativi
ad alcuni obiettivi concreti.
Prima di tutto proponeva di individuare un territorio, che avesse una sua
identità culturale. Solo così è pensabile
uno sviluppo che parte dal basso. E questo è il secondo dei grandi
elementi. La programmazione deve venire da
un’incontro top down con le proposte, le provocazioni che vengono buttom
up. Dal basso la volontà, la vocazione,
come espressione delle popolazioni che esistono in questo territorio,
l’incontro con la tradizionale volontà o
capacità o tradizioni programmatorie che sono di solito fatte a tavolino da
esperti. L’obiettivo è di mettere insieme
dall’incontro di queste due realtà un piano di azione locale. Un
programma che veda vincolate le due parti nella
gestione di questo piano per un periodo abbastanza ampio. I progetti Leader
hanno avuto un periodo di
programmazione di 4/5 anni. Si punta su azioni o più linee di azioni
che vengono realizzate da ogni territorio
ndividuato facendo una scommessa sulle caratteristiche prevalenti della
propria area per il suo modello di sviluppo
locale.
Un altro carattere è la complementarietà fra questo
piano di azione locale, prevalentemente caratterizzato da
azioni immateriali, con il tradizionale mainstream, le attività
convenzionali delle amministrazioni locali.
Gli interventi della programmazione di sviluppo economico tradizionale si
basano quasi esclusivamente sugli
incentivi per investimenti e sulle azioni dirette che fanno gli enti locali.
Invece il meccanismo delegante dei Gruppi
di Azione Locale segue una logica diversa: individuare una serie di azioni
immateriali nelle quali i soggetti del
territorio si impegnano, costruendo reti tra soggetti interessati,
raccogliendo dei vincoli di comportamento
con - e questo è molto importante - l’azione di intervento dall’alto
degli enti pubblici che operano ed intervengono
nel territorio.
La prassi dei progetti Leader
Vediamo quali sono i suggerimenti, non esaustivi, che
vengono dall’Unione Europea. L’Unione dà alcune
indicazioni di quali sono, secondo la loro volontà, i tipi di azione, che
possono caratterizzare il piano di azione
locale. Un primo obiettivo è il trasferimento di competenze, perché questi
territori spesso mancano di competenze
per aggiornare, migliorare, utilizzare tecnologie più moderne per svolgere
le proprie attività tradizionali.
Poi l’animazione - approfondiremo tra un po’, che cosa vuole dire
animazione -, formazione, azione di
accompagnamento e di assistenza tecnica per far nascere o sviluppare
attività esistenti nel territorio, promozione
di reti fra piccole imprese, piccole attività, all’interno dei territori
o fra i territori scelti, meritevoli di finanziamenti
comunitari. Il co-finanziamento dell’Unione Europea copre normalmente un
terzo, un terzo proviene da fondi
nazionali, un terzo di auto-finanziamento deve essere trovato sul
territorio.
I finanziamenti dovrebbero servire per sostenere una fase
sperimentale. La Comunità aspira, spera, dichiara
nei suoi documenti, che questi gruppi di azione locale, questo modo nuovo di
gestire l’intervento pubblico in
copartecipazione con il gestore privato, dia luogo poi alla nascita o al
consolidarsi di agenzie permanenti per lo
sviluppo locale. Per quanto riguarda le concrete forme organizzative l’Unione
Europea è molto libera. Prevede,
anzi sollecita, la costruzione di strumenti molto snelli, non pesanti, che
mettano in rete le competenze, le esperienze
e le professionalità dei partner senza sovrastrutture pesanti.
Siamo a due terzi del percorso previsto, sono già stati
realizzati due programmi, Leader e Leader 2 e siamo nella
fase di individuazione dei progetti Leader per la programmazione della fase
2000 – 2005/6 che si chiama
"Leader +". Nel primo periodo sono stati approvati 300 programmi
in tutto il territorio comunitario, nel secondo
periodo di programmazione, Leader 2, sono stati circa 800, nel nuovo
periodo di programmazione la Comunità
prevede di stringere e ridurli a circa 400/500 in tutto il territorio. Se
avremo tempo vedremo anche un attimo le
proiezioni delle modificazioni che l’Unione Europea intende sviluppare.
Gli obiettivi culturali ed economici dei
programmi Leader si possono riassumere così: fare riflettere
collettivamente tutti i soggetti presenti in un
determinato territorio sulle sue vocazioni, sulle sue strategie e sulle
azioni necessarie pianificandole.
L’idea è di partire dalle cose che già esistono nel
territorio, provocare la capacità di tutti i soggetti di mettersi
insieme per individuare le strategie di sviluppo locale, le azioni
necessarie per pianificare queste azioni e l’apporto
delle risorse disponibili. Si tratta sostanzialmente di supportare progetti
innovativi, di favorire percorsi dall’idea al
progetto e di favorire iniziative che abbiano ricadute positive anche
sugli altri settori – e questa è una cosa molto
importante che sottolinea la comunità - cioè i piani di sviluppo locale
devono essere piani integrati. L’Unione
Europea dà grande importanza all’ultimo punto: le iniziative non devono
portare solo benefici per chi le ha
realizzate, ma devono avere delle ricadute, degli stimoli, come diceva
giustamente De Rita, per mettere in moto
meccanismi di superamento della concorrenza, di collaborazione e
cooperazione che sono il sale per la nascita
delle attività economiche e sociali in un territorio.
Un altro degli elementi, sul quale insiste molto la
Comunità è la costruzione di reti. Molte delle iniziative che
nascono fanno fatica a raggiungere una dimensione economica tale da
poter reggere la concorrenza e consolidarsi
nel tempo. Molte volte queste piccole attività economiche, proprio per non
chiudersi in un ghetto, hanno bisogno
di azioni che si possono attivare solo in rete con altre attività.
Lo sviluppo rurale integrato, negli ultimi anni, è
entrato in tutta la programmazione generale. Gli assessori qui
presenti sanno che ormai il concetto di programma di sviluppo territoriale
locale fa parte del mainstream.
Che cosa resta allora ancora di caratteristico che ha richiesto da parte
dell’Unione Europea la continuazione
di questo esperimento di Leader? Sono due le caratteristiche che mi sembrano
assolutamente originali in Leader,
non realizzati in altri esperimenti, neanche nei Patti Territoriali. Uno è
il partnership pro-attivo fra pubblico e privato.
Formalmente si sono costituiti in tutti i GAL. I Gal potevano nascere
solo se c’era formalmente costituito un
partenariato. La comunità non era molto interessata alla forma, bastava
anche un contratto, oppure la costruzione
di società vere e proprie per la gestione del partenariato locale, ma al di
là della costituzione formale di questo
partenariato sono in un numero molto limitato i casi dove hanno funzionato.
Ho qui dati, ma non vi sto ad
appesantire. L’Unione Europea come conseguenza ha fatto un monitoraggio
degli interventi realizzati.
Quindi, alla fine di ogni programma, l’Unione Europea manda degli
osservatori esterni a fare una verifica spietata
di come sono state realizzate questi obiettivi rispetto a quelli che si era
previsto.
La verifica di Leader 1 e Leader 2 evidenzia che i
progetti sono rimasti largamente staccati dal mainstream, dalle
attività normali dei soggetti coinvolti. Solo in un terzo dei GAL è stato
riconosciuto un sufficiente avvicinamento
agli ideali del progetto iniziale. Ma per l’esperienza del quale sono
portatore, ho fatto parte anche del comitato
di giudizio su Leader a livello Comunitario, posso dire che siamo bene al di
sotto di questo terzo in cui si è davvero
realizzato un partenariato. Avendo girato un po’ i Leader di tutta l’Italia,
conosco sei o sette esempi nei quali
veramente si può dire che si è realizzato questa rivoluzione culturale in
modo soddisfacente.
Il mio GAL è stato giudicato come uno di quelli assolutamente
rispondente a queste esigenze.
Abbiamo quindi ancora molta strada da fare per un governo
dello sviluppo più democratico, nel quale si realizzi
uno dei grandi obiettivi della comunità che è la sussidarietà, un impegno
che venga dal basso.
Animare i soggetti – attivare risorse latenti
L’altro degli elementi caratteristici dei programmi
Leader è l’animazione, quello che normalmente non fanno i
pubblici poteri. Loro finanziano delle azioni, ma non fanno il lavoro di
animazione andando a cercare quelle volontà
di intraprendere, quelle volontà di contribuire allo sviluppo locale, che
sono latenti. Normalmente il pubblico potere
fa un bando al quale rispondono i più attivi, i più preparati, i più
efficienti. Abbiamo detto che non basta che un
territorio sia definito un territorio con necessità di sviluppo per dire
che in questo territorio tutti i soggetti sono
deboli. Il territorio è debole dal punto di vista economico, ma non tutti i
soggetti sono deboli. Chi vive in montagna
sa benissimo che c’è una bella differenza tra un’azienda nel fondovalle
e un’azienda dove la pendenza supera il
20/25%. Anche dal punto di vista della preparazione i soggetti non
sono gli stessi. In questo contesto l’animazione
è un concetto che va oltre l’assistenza tecnica, oltre la formazione.
Prevede entrambi, sia la formazione che
l’assistenza tecnica, ma fa un passo più avanti. Lo strumento misto
pubblico/privato va a cercare i soggetti che
potrebbero avere le condizioni che, se decidono di intraprendere, sono utili
per loro e per la comunità locale.
Faccio un esempio perché così mi capite meglio. Fra i
programmi del mio GAL c’era la costruzione di un ippovia
del crinale dell’Appennino. C’erano già dei piccoli esempi di ippovia.
Quando abbiamo fatto il lavoro di raccolta
di idee nel territorio, le riunioni con gli enti pubblici e con chiunque
veniva dal territorio per farci dire le loro idee
sullo sviluppo del territorio, una delle idee è stata quella di un’ippovia.
Già c’erano e funzionavano bene le aziende
agrituristiche che tengono i cavalli nell’Appeninno. Il ragionamento era
c'è una grande domanda da gente che viene
da fuori e chiede i cavalli a noleggio, e poi vorrebbe dei percorsi
più ampi. Il GAL potrebbe studiare le condizioni
perché questo percorso si faccia. Una ciliegia tirava l’altra. È saltato
fuori il problema che se si vuole fare dei
percorsi più lunghi ci vogliono anche i maniscalchi, perché su un percorso
più lungo è necessaria questo tipo di
assistenza. La domanda era chi trovare che facesse il maniscalco, quale
produttore agricolo trovare che potesse
tenere alcuni cavalli. A quel punto perché non fare anche il percorso di
mountain bike dato che ci sono persone
che vengono sù con le loro biciclette. Sarebbe molto bello poter far venire
su qualcuno e dirgli che non si deve
preoccupare perché qui trova mountain bikes a noleggio. Bisogna trovare
qualcuno che mette su una piccola
impresa per noleggiare mountain bike, ma non deve essere da qualunque parte,
deve essere in un posto, all’inizio
del percorso o a metà. Ci voleva l’intreccio tra uno studio razionale del
territorio e l’individuazione delle possibili
persone per far camminare le idee. E’ qui dove parte il lavoro di
animazione che abbiamo fatto con grande impegno.
Purtroppo è anche questo il punto dove abbiamo trovato
le difficoltà maggiori. Sono state avvicinate le persone
alle quali sono state fatte delle proposte, le hai aiutate per fare il
progetto, poi però c’è bisogno di un investimento.
Intanto il mainstream, le attività regolari delle amministrazioni
sono andate per conto loro, quando arrivi lì ti senti
dire che non ci sono più soldi, oppure che non possono mettere in
priorità il progetto perché non sono stati fatti i
calcoli. Saltano fuori i problemi veri al di là della dichiarazione di
principio di collaborazione pro-attivo.
Io ho vissuto queste esperienze. Veniva l’assessore all’agricoltura,
consigliere del mio GAL, per partecipare
all’elaborazione e alla scelta delle nostre azioni, quando però era
seduto sul tavolo del suo assessorato con i suoi
funzionari, e trattavamo per legare e rendere complementari gli interventi
convenzionali del suo assessorato con le
azioni immateriali del GAL, è cascato l’asino. Non siamo riusciti a
intrecciare le cose. Immaginate, che delusione!
Per le persone che abbiamo stimolato a fare l’investimento, preparato al
lavoro di formazione, addirittura qualcuno
lo abbiamo portato per 15 giorni in giro per vedere dove queste cose
sono già state realizzate.
Abbiamo impegnato delle professionalità per mettere a punto un progetto nel
quale la sua azione si integrava con le
realizzazioni di altri, la costruzione di una rete fra tutti quelli che
dovevano gestire il percorso dell’ippovia.
Perché non basta fare un percorso, puoi fare un percorso bellissimo, con
delle indicazioni, ma senza gestione dopo
cinque anni è sparito tutto, cartelli inclusi.
Il modello GAL tende a dire: vi abbiamo aiutato a
nascere, vi abbiamo aiutato a mettervi insieme, avete costituito
una rete, adesso la gestite. Voi dovete garantire le condizioni perché l’ippovia
funzioni e possa essere propagandata
e venduta dal punto di vista del turismo ambientale, al Salone di Parigi.
La continuità è un problema fondamentale. Una cosa è
far nascere il progetto dal basso, mettere insieme tutta una
serie di volontà, cercare di costruire, fare lavoro di animazione,
formazione, assistenza, accompagnamento iniziale,
ma serve a poco se poi viene a mancare quella volontà operativa, quel
partenariato davvero attivo che presuppone
un’integrazione vera fra democrazia partecipativa e democrazia
rappresentativa. Il che è facile da dire, ma è molto,
molto difficile da realizzare. Devo dire che, a volte, la cosa non ha
funzionato non solo per impreparazione culturale
della parte pubblica, ma anche delle organizzazioni di categoria che troppo
spesso hanno una scarsa sensibilità per
la democrazia partecipativa. Il difetto prevalente che ho visto è che le
organizzazioni locali sono molto interessate
quando è il momento di fare il GAL, quando è il momento di distribuire le
risorse per i vari settori, quando è il
momento per mettere avanti le domande dei loro associati. Dopo di che l’interesse
crolla.
Quando è ora di prendersi le responsabilità per dire dei no ai loro
associati, perché un altro progetto, un’altra
proposta ha maggiori ricadute sul territorio, mette in moto un meccanismo
più interessante, gli altri si tirano indietro.
Qual è la scelta fondamentale che l’Unione Europea
intende riservare al terzo periodo di programmazione? La
Comunità dà per scontato che trattandosi di laboratorio, avrebbe seminato
da molte parti, ma il raccolto sarebbe
venuto solo da una parte del seme gettato. A quel punto decide di scartare
quelli che non hanno superato le prime
due fasi, di concentrarsi su quelli che hanno saputo realizzare gli elementi
fondamentali. Normalmente questi territori
non possono vivere da soli. Il processo che viene dal basso ha bisogno di
trovare la massa critica perché le singole
iniziative abbiano la possibilità di durare nel tempo con previsione
di intervento pubblico calante. Visto che ci sono
sempre meno mezzi pubblici da dedicare allo sviluppo economico, vogliamo
mettere in moto un meccanismo, nel
quale si stimola sempre di più la volontà, la capacità di
auto-finanziamento delle iniziative. In molti casi non si potrà
mai arrivare al 100%, ma se le iniziative sono economicamente valide, allora
queste potranno parzialmente finanziarsi.
Prendiamo l’esempio dell’ippovia. Se i soggetti interessati davvero
verificano il vantaggio economico e nel territorio
si verifica il miglioramento della qualità della vita, che viene attraverso
quest’azione, i soggetti interessati saranno
disposti a mantenere attivo questo percorso. Invece, se questo non succede,
sarà il pubblico potere che dovrà
continuamente a investire per rinnovare un’esperienza. Magari potrà
continuare un finanziamento parziale.
Siccome i territori dove si realizzano questi laboratori di organizzazione
socio economica non sono vastissimi, proprio
perché devono avere una identità culturale locale, normalmente è
difficile per ogni azione economica trovare la
dimensione adatta. O la dimensione adatta si può trovare per una serie di
azioni all’interno di quell’impresa ma non
per tutte. Prendiamo ad esempio un agriturismo, può essere efficientissimo
come efficienza interna all’impresa, ma se
non è capace di propagandare, far sapere in giro ad un numero sempre
maggiore di possibili utenti che c’è
quest’opportunità, il numero di presenze non sarà mai tale da garantire
un adeguato risultato economico.
Molte volte un agriturismo ha alcune caratteristiche che non soddisfanno del
tutto il cliente, solo mettendosi in rete
con altri può offrire una quantità di prodotto, che interessa il maggior
numero di persone. Per esempio uno può avere
i cavalli e l’altro no. Allora se ci si mette in rete e si coopera
invece di farsi solo la concorrenza, si può fare un
marketing del territorio complessivo. La qualità della gastronomia locale
può aiutare lo sviluppo del turismo e
viceversa.
Rimaniamo con il discorso di prodotti locali: può darsi
che nel territorio con i prodotti agricoli, culinari, ecc. non si
raggiunga la dimensione sufficiente per mettere in moto un meccanismo di
sviluppo. Ho visto che in questa zona ci
sono viti abbandonate. Teoricamente questo territorio dovrebbe essere molto
evocato a questo tipo di produzione.
Perché qui non c’è uno sviluppo, mentre in molte altre parti del
territorio, dove ci sono probabilmente le stesse
condizioni geo-pedologiche, il vino rappresenta oggi un’occasione
formidabile non solo per l’economia del vigneto,
ma per la valorizzazione dell’intero territorio? Probabilmente in alcuni
casi non sono sufficienti le condizioni esistenti,
si deve cercare una rete più vasta. Chi magari ha una penetrazione maggiore
sul mercato ha una minore produzione,
chi ha una maggiore produzione non ha penetrazione sul mercato, altri hanno
raggiunto innovazioni tecnologiche
interessanti che potrebbero essere trasferite in un altro territorio e
così via. Ecco che l’Unione Europea scommette
nel Leader + sulla qualità e sulle reti di collaborazione fra i Leader.
Li stimola pretendendo che una parte delle
risorse destinate ai piani di azione locale, si aprono a una ricerca
di azioni immateriali di collaborazione fra i GAL
del territorio più o meno vicini. E questa è la scommessa fondamentale del
Leader + di mettere a disposizione le
proprie esperienze, le buone prassi che hanno funzionato, i meccanismi
che hanno avuto successo e anche le
esperienze negative, per i territori confinanti o per i territori che
vogliono progressivamente mettersi per questa strada.
Queste sono le scommesse per il futuro.
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